Quello che è successo al Corvetto di Milano è il sintomo di un diffuso degrado delle periferie. Una soluzione può venire osservando quello che non è stato fatto per le case popolari. Spia accesa del disagio sociale. Mancata integrazione, salari bassi, bollette salate e spesa alimentare che incide fuori misura. L’opinione di Maurizio Guandalini
“Nato ai bordi di periferia. Dove i tram non vanno avanti più” è l’inizio della canzone “Adesso tu”, 1986, di Eros Ramazzotti. C’è tutto. Dei quartieri degradati, ultima ruota del carro delle città grandi. E ora anche di quelle piccole. Della mancata integrazione degli immigrati (che vuol dire dare un lavoro con il quale un individuo può pagarsi una casa). Del conseguente decadimento delle case popolari, lasciate al loro destino. E quindi dal pericolo sicurezza in versione Far West. Tutto si lega. Alla condizione economica di molte famiglie italiane che non riescono pagare gli affitti, le bollette, la spesa alimentare in uno stato generalizzato di profonda rassegnazione se non di sonno profondo. Comunque la si pensi è l’irrisolto uscito in molte piazze, tra i manifestanti dello sciopero generale. E’ il sintomo che si trascinano dei problemi per troppo tempo fino a quando poi s’infiammano e possono avere dei risvolti gravi. Il caos del quartiere Corvetto di Milano non è l’eccezione. Lo scempio e l’irresolutezza delle periferie, generata da una diffusa povertà, sono all’ordine del giorno ma pedissequamente ignorate con una scrollata di menefreghismo. Disinteresse per mancanza di soluzioni. La britannica Mary Renault ha scritto che c’è solo un tipo di shock peggiore rispetto all’imprevisto: il previsto per il quale si è rifiutati di prepararsi.
L’ultima volta che ho sentito parlare di periferie da rimettere a nuovo è stato durante il Governo Renzi, con il ministro Graziano Del Rio che doveva gestire circa quattro miliardi di euro. Prima ne aveva accennato il premier Berlusconi con il poliziotto di quartiere. Qualcosa è passato durante il Governo Conte due con il tetragono bonus 110% (pensato per ristrutturare gli edifici popolari e della pubblica amministrazione salvo poi essere utilizzato quasi esclusivamente dai proprietari di ville e villoni) e ora dal ministro Matteo Salvini che attraverso il Pnrr narra di un fantasmagorico piano di costruzione di case popolari. La road map finora evidenziata ha dato come risultato che la situazione delle periferie italiane è peggiorata, nulla è cambiato. La classe politica non ha la conoscenza e la qualità per risolvere i problemi.
Lo sottoscrivo a ragion veduta. Avendo studiato la situazione. Mi sono rivolto a politici di ogni tendenza, ai vari livelli, ma dire che ho incontrato approssimazione è un complimento. E pensare che le radici culturali e ideologiche dei due più grandi partiti, di sinistra il Pd e di destra Fratelli d’Italia, attingevano e attingono da lì molto consenso. Ricordo sempre un episodio che mi ha colpito durante la campagna elettorale del 2022. Intervistato il capofamiglia che abitava in un quartiere degradato di Roma, con casa popolare a pezzi affermava che l’ultima volta che espresse il suo voto fu con Berlinguer segretario del Pci e che sarebbe ritornato a votare dopo tanti anni Giorgia Meloni. Due le tendenze, non mantenute, che escono: la sinistra ha fatto poco la sinistra e la destra non sta rispettando l’esprit sociale di destra.
Il degrado delle periferie, dei quartieri popolari, lo risolvi responsabilizzando coloro che ci abitano. Parto dal grande lavoro che fece il ministro Amintore Fanfani, nel dopoguerra, con la costruzione di milioni di alloggi e quindi lo step successivo, determinante, con le trattenute Gescal che davano la possibilità all’inquilino di diventare proprietario della casa in cui abitava (la premier conservatrice Margaret Thatcher parlava di vendere le case agli inquilini delle case popolari per responsabilizzarli poi i premier laburisti fino a Gordon Brown lanciarono lo slogan ogni cittadino inglese proprietario di una casa). Dopo allora il nulla. Poche case costruite. La manutenzione assente. L’occupazione abusiva all’ordine del giorno. Il racket appena dopo. L’ingresso di famiglie che non pagavano l’affitto (perché se alloggi famiglie dove nessuno lavora dove trovano i soldi per saldare?). I comuni che in un qualche modo si lavano la coscienza dirottando i cosiddetti casi umani in edifici già turbati da un equilibrio sopra la follia. Precario. Che fa cumulo con i tanti default che circondano il caos esistente.
Quando si tolsero le competenze statali per delegarle a quelle regionali (le cosiddette aziende, un po’ come si è fatto per i trasporti ferroviari) lo si fece con l’intento di risolvere i tanti problemi. Il risultato è sotto gli occhi. Emerge con irruenza quando sfocia nel terminale che viene ben prima della costruzione di nuove case, la manutenzione. Ordinaria ma soprattutto straordinaria. Edifici che cadono a pezzi dove ci abita gente che paga regolari affitti e di contro non riceve nulla in cambio, gravate dal fatto che abita insieme a famiglie che non pagano affitto o peggio occupano abusivamente gli appartamenti. È possibile emergere da questo stato di cose con un mélange applicando diversi regimi di gestione verso chi paga regolarmente e rispetta le regole e verso chi invece fa di tutto per non rispettarle.
A dare il colpo di grazia successivo è l’amministrazione di questi complessi edifici. Le aziende non fanno manutenzione a fronte di cittadini invece che vorrebbero che tutto funzionasse alla perfezione in modo da garantirsi una vita tranquilla. Le case popolari, a famiglie che pagano regolarmente l’affitto, non cambiano più i sanitari, non rispondono al mancato funzionamento delle caldaie (aspetti ai quali dovrebbe rispondere il proprietario della casa), tutto è a carico dell’inquilino (ci sono molti casi di famiglie che hanno passato l’inverno precedente al freddo perché non si potevano permettere il cambio della pompa della caldaia che si aggira sui 700 euro), non cambiano le tapparelle malfunzionanti, nemmeno i serramenti di 40-50 anni che lasciano entrare veri e propri cicloni d’aria (vedere le bollette per credere, per questo un’operazione di manutenzione degli edifici attraverso il bonus 110% avrebbe favorito un risparmio energetico e vantaggi economici per gli inquilini), non cambiano le porte d’ingresso degli appartamenti con manufatti blindati, così non ci sono sbarre elettroniche d’entrata nei vari palazzi, gli ascensori non sono a norma, spesso lasciati a non funzionare per mesi, non si fanno opere di tinteggiatura esterna, si trascurano i giardini condominiali, se gli inquilini vogliono curarlo lo pagano di tasca propria.
Questa situazione è una bomba esplosiva se inserita in periferia, dove degrado chiama a sé altro degrado, porta giù al caso del Corvetto. Innescare un domino ci vuole pochissimo. In città grandi, vedi Milano, ma pure nelle piccole realtà di provincia, nei paesi dove la trasposizione è immediata e dagli effetti dirompenti anche lì.
La cura deve partire dal non negare l’evidenza del problema (ci sarebbero da resettare tutte le aziende regionali, riportare molte competenze allo Stato e lasciare presidi attivi anche per competenza decisionale alle province, evitando accorpamenti che sono ostacoli ad agire). Vista la situazione di degrado raggiunto è difficile iniziare una massiccia operazione di responsabilizzazione dell’inquilino proponendo l’acquisto dell’appartamento (proposi anni fa, forse venti, durante il Maurizio Costanzo Show l’affitto come rata del mutuo). Così stando le cose a molti inquilini di fedeltà ultra quarantennale dovrebbero regalarla la casa in cui abitano. O comunque iniziare grandi opere di riqualificazione sollevando gli inquilini che pagano costi non loro. È già il secondo anno che sollecito attraverso dei deputati, durante l’iter di discussione della legge delega fiscale, di inserire la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi gli affitti delle case popolari. Solo il Governo Renzi lo fece.
Una volta che se ne è andato da Palazzo Chigi nessun politico ha avuto la sensibilità di riproporlo. È il segno di quanto stanno a cuore alla politica coloro che ‘non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese’. Un po’ come il canone Rai. Mi sono meravigliato che la sinistra, in un qualche modo pure Fratelli d’Italia, non si sono adoperati per abolirlo, almeno non aumentarlo. Forse una mossa troppo liberale? Tant’è. Il risvolto di questi atti spiega il modo in cui si trovano soluzioni a questioni che hanno raggiunto uno stato di logoramento irreversibile.