Questa crisi non è causata da un solo fattore, ma da decenni di scelte politiche focalizzate più sugli interessi elettorali che sullo sviluppo economico. Anche alcune forze sociali, hanno spesso chiesto senza offrire contributi costruttivi. Ora siamo arrivati al limite. Il commento di Raffaele Bonanni
Come spesso accade in Italia, i problemi vengono presi sul serio solo quando raggiungono una fase critica. Siamo abituati alle emergenze e tendiamo a ignorare ciò che non si è ancora trasformato in crisi. È il caso di Stellantis, tema di attualità nonostante le difficoltà fossero evidenti già da tempo. I lavoratori in cassa integrazione sono aumentati e la produzione di auto in Italia è diminuita del 30% rispetto all’epoca di Marchionne.
Le difficoltà, in realtà, erano già presenti quando Fca si fuse con i francesi di Psa per creare Stellantis. Fin dall’inizio, però, si sono fatte scelte discutibili: progettazione e marketing sono stati trasferiti all’estero, gli stabilimenti italiani si stanno svuotando e gran parte dei brevetti è ora registrata in Francia. Negli ultimi cinque anni, mentre i dividendi distribuiti agli azionisti hanno raggiunto i 15 miliardi di euro, gli investimenti in innovazione e sviluppo sono stati insufficienti per affrontare i cambiamenti tecnologici e la transizione ecologica.
Nel frattempo, i consumatori hanno modificato le loro abitudini: l’incertezza legata al passaggio dai motori endotermici a quelli elettrici, insieme ai costi elevati di questi ultimi, ha frenato l’acquisto di nuove auto. Se i problemi sono comuni in tutta Europa, in Italia si rischia di diventare l’anello debole della catena. Oltre a Torino e Modena, gli stabilimenti italiani di Stellantis si concentrano nel Centro-Sud, impiegando meno di 150 mila persone, inclusi i fornitori di componenti storicamente legati a Fiat. Un eventuale disimpegno non potrà che provocare il tracollo economico e sociale del sud.
Il settore automobilistico è stato uno dei pilastri dell’industria italiana negli ultimi 60 anni, e la crisi di Stellantis non può essere sottovalutata. Negli ultimi giorni, l’attenzione dell’opinione pubblica è cresciuta, anche a causa delle difficoltà di altre case automobilistiche europee. Ora si chiede un piano industriale che offra prospettive al gruppo e al nostro Paese, dopo anni di delocalizzazioni in Serbia, Polonia e, forse presto, Marocco.
Il governo e il Parlamento hanno sollecitato un incontro con Stellantis, sebbene molte decisioni strategiche siano già state prese. Si spera che il gruppo non rinunci all’Italia, ma occorre chiarezza sulle sue intenzioni. Allo stesso tempo, il governo deve offrire garanzie concrete: costi energetici competitivi, investimenti in formazione e ricerca, incentivi fiscali per favorire l’innovazione e infrastrutture efficienti. Solo così si potrà sostenere non solo il settore automobilistico, ma l’intero sistema industriale.
Questa crisi non è causata da un solo fattore, ma da decenni di scelte politiche focalizzate più sugli interessi elettorali che sullo sviluppo economico. Anche alcune forze sociali, hanno spesso chiesto senza offrire contributi costruttivi. Ora siamo arrivati al limite, e il tempo per agire è già scaduto. Serve un intervento immediato per evitare il peggio.