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Esercitazioni militari nel mar Cinese Meridionale. Gli Usa mandano una portaerei a Malacca

Mentre Pechino continua a reclamare diritti di sovranità sul mar Cinese Meridionale, gli Stati Uniti mantengono una posizione ferma sul rispetto dei confini stabiliti dal diritto internazionale. Alle esercitazioni aeronavali cinesi nell’area, gli Usa rispondono inviando un gruppo portaerei in Malesia. Su questi valzer navali si gioca la partita tra le due potenze per il futuro dell’Indo-Pacifico

Mentre crescono le incognite circa i futuri rapporti Cina-Stati Uniti a seguito dell’elezione di Donald Trump, la tensione latente tra le due potenze e i rispettivi alleati indo-pacifici rimane imperniata sul controllo del mar Cinese Meridionale. In una nota stampa, il comando del Teatro meridionale dell’Esercito popolare di liberazione cinese (Pla) ha annunciato di aver tenuto un’esercitazione militare nelle prossimità dell’atollo di Scarborough Shoal, formazione rocciosa contesa tra la Cina, Taiwan e le Filippine. Le attività hanno coinvolto elementi della Marina, dell’Aeronautica e della Guardia costiera di Pechino, inclusi tre cacciatorpedinieri Type 055, due caccia Su-30, un bombardiere H-6K e un trasporto aereo Shaanxi Y-8. 

Nel frattempo a Port Klang, in Malesia, è giunto il gruppo navale statunitense della Uss Carl Vinson, composto dall’omonima portaerei di classe Nimitz, un incrociatore classe Ticonderoga e due cacciatorpedinieri classe Arleigh Burke. “La visita a Port Klang”, ha affermato l’ammiraglio Michael Wosje, comandante del Carrier strike group della Carl Vinson, “ci offre un’opportunità importante e unica per collaborare con i nostri omologhi della Marina Reale Malese, continuando a costruire la nostra partnership strategica e reciprocamente vantaggiosa”. 

Il Risiko indo-pacifico e l’intraprendenza di Pechino

Nella competizione strategica tra Stati Uniti e Cina, il mar Cinese Meridionale gioca un ruolo fondamentale. Per Pechino queste acque non rappresentano solamente un’area soggetta alla sovranità cinese, ma anche il mezzo tramite il quale asserire la sua posizione dominante nell’Indo-Pacifico. Benché ufficialmente lo Stato cinese proclami una sovranità marittima estesa sul mar Meridionale fin dalla prima metà del secolo scorso, è solo negli ultimi due decenni che Pechino ha iniziato a portare avanti una serie di attività volte ad asserire il proprio controllo su quelle acque. Queste attività hanno incluso dapprima l’occupazione di alcuni isolotti disabitati, alla quale è seguita la costruzione di basi militari e di atolli artificiali ex novo. Queste mosse, nell’ottica cinese, servono a forzare le norme prescritte dal diritto internazionale in tema di confini marittimi. Come stabilito dall’Unclos, la convenzione Onu sul diritto del mare, gli Stati rivieraschi possiedono diritti quasi esclusivi in una fascia che si estende fino a 24 miglia nautiche dalle proprie coste e possono stabilire una Zona economica esclusiva fino alle 200 miglia nautiche dalle stesse. In base a tali regole, la Cina controllerebbe solo un’area limitata del mar Cinese Meridionale. È per questo che, tramite l’occupazione e la costruzione di atolli isolati, Pechino punta a vedersi riconosciuta una Zee molto più ampia, corrispondente alla cosiddetta “Nine dash line”. La Nine dash line, che comprende il 90% del mar Cinese Meridionale, risale agli anni quaranta e rappresenta le rivendicazioni marittime della Cina, basate sia sulla propria rilevanza geopolitica sia su motivazioni di carattere storico. Tuttavia questa suddivisione, resa pubblica solo nel 2009, non tiene conto dell’Unclos e, se applicata, andrebbe a sovrapporsi alle Zee di altri Stati rivieraschi, come Brunei, Filippine, Vietnam e Indonesia. Se fino a pochi anni fa, nonostante le occupazioni, la diatriba aveva avuto un carattere principalmente legale e diplomatico, recentemente la Cina ha iniziato a condurre attività che afferma essere di “law enforcement” per garantire la propria sovranità in queste acque. Tali attività includono esercitazioni militari, sia della Marina sia della Guardia costiera, più volte risultanti in scontri (seppur non a fuoco) con le navi di altri Stati rivieraschi. In questo contesto, l’esercitazione si conferma come l’ennesima dimostrazione muscolare da parte della Cina, la quale ribadisce così la propria volontà di forzare i limiti del diritto internazionale marittimo, con le buone o con le cattive.

Dall’altro lato, gli Stati Uniti non abbassano la guardia e aumentano gli sforzi a sostegno dei propri Alleati e partner nella regione. L’arrivo del gruppo navale della Carl Vinson si inserisce infatti nella fitta rete di attività anti-cinesi volte a garantire la libertà di navigazione nelle acque internazionalmente riconosciute e nelle triangolazioni strategiche tra Indiano e Pacifico. La “visita” del gruppo navale a Port Klang costituisce infatti un messaggio diretto alla Cina, la quale vede la prossimità di assetti navali statunitensi allo stretto di Malacca come una minaccia alle proprie rotte commerciali. L’Indo-Pacifico si conferma come l’arena privilegiata su cui Washington e Pechino portano avanti il confronto tra i rispettivi dispositivi militari, con la Cina impegnata a costruire sempre più navi e gli Usa pronti a sostenere gli sforzi dei suoi Alleati per aumentare la deterrenza nei confronti della crescente audacia di Pechino.


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