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Gli effetti (calcolati) dell’offensiva siriana su gas e rifugiati

Il tema degli interessi complessivi attorno al gas non tocca solo la guerra a Gaza, ma si spinge fino a quella sottile linea rossa che dal Golfo arriva nel Mediterraneo, passando per il Bosforo. Da domani in Qatar, Russia e Turchia, con numerosi interlocutori molto attenti a ciò che accadrà già nei prossimi giorni, si incontreranno per rilanciare il processo di Astana

Dopo l’azione di forza nella Siria settentrionale del gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nelle regioni di Aleppo e di Hama, due potrebbero essere le conseguenze nel breve periodo: i primi rifugiati siriani presenti in terra turca torneranno verosimilmente nel loro Paese e il dialogo per il gasdotto Qatar/Turchia potrebbe riprendere (anche con la benedizione dei regni sunniti del Golfo), senza dimenticare il tema politico della presenza curda al confine turco.

Rifugiati

Riaprire Aleppo a 600mila sfollati che ritornerebbero dalla Turchia, ma solo se la città verrà stabilizzata, potrebbe essere il primo step di cui già si discute da prima dell’attacco. L’idea è circolata da tempo in ambienti turchi, dopo che nel 2020 la situazione nella Siria nordoccidentale era stata gestita in virtù di un accordo tra Russia e Turchia, con Mosca che sosteneva e sostiene Assad. Le due alleate ne discuteranno da domani in Qatar, dove si incontreranno per rilanciare il processo di Astana, alla presenza di numerosi interlocutori molto attenti a ciò che accadrà già nei prossimi giorni.

Al momento, secondo i dati delle Nazioni Unite, i rifugiati siriani in Turchia sono scesi dai quattro milioni fatti registrare nel 2021 a 3,2 milioni. Il tema è stato usato anche elettoralmente dal presidente Recep Tayyip Erdogan alle ultime urne, quando ha promesso che avrebbe supervisionato il ritorno “volontario” di un milione di rifugiati in una “zona sicura” controllata dalla Turchia nel nord della Siria, mentre il leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu aveva annunciato il contrario.

Già all’indomani dell’attacco terroristico contro il sito della difesa turca alle porte di Ankara che poco più di un mese fa ha causato 5 morti e 14 feriti, la reazione di Erdogan è stata direzionata contro i curdi in Siria. Le forze turche infatti avevano lanciato attacchi in Siria e Iraq mentre tutti i ministri avevano fatto a gara per mostrare una ferrea determinazione a sradicare il Pkk. Nel mese di settembre inoltre il governo turco aveva effettuato un’altra azione contro la minoranza che solo in Turchia conta almeno 25 milioni di persone: la polizia aveva arrestato decine di cittadini curdi durante alcune feste di matrimonio accusandoli di fare “propaganda terroristica” perché cantavano canzoni contro Erdogan.

Il dossier energetico

Il tema degli interessi complessivi attorno al gas non tocca solo la guerra a Gaza, così come raccontato più volte su queste colonne, ma si spinge fino a quella sottile linea rossa che dal Golfo arriva nel Mediterraneo, passando per il Bosforo. Secondo il ministro dell’energia turco Alparslan Bayraktar la Turchia ha la capacità di ricevere fino a 80 milioni di bcm all’anno di gas, ma ha bisogno solo di circa 50 bcm/anno per soddisfare la propria domanda. Tradotto, significa che la scelta dei fornitori sarà di carattere politico, prima che logistico. Quest’anno la turca Botas ha concordato con la francese TotalEnergies di importare 1,6 miliardi di metri cubi all’anno di gnl dagli Stati Uniti a partire dal 2027. Stessi termini con Shell per 4 bcm all’anno, sempre a partire dal 2027. Un terzo accordo è stato siglato con ExxonMobil. Sulla base di questi numeri Ankara potrebbe importare meno gas dall’Azerbaijan, dando così a Baku la possibilità di inviarne di più tramite il Tap in Europa. Uno schema che potrebbe lasciare trasparire la volontà di riannodare i fili del progetto di gasdotto tra il Qatar e la Turchia, possibile solo se venissero spenti i focolai di tensione presenti sulla traccia dove dovrebbe ipoteticamente transitare la nuova infrastruttura.

Per cui da un lato il Qatar è il principale esportatore mondiale di gas naturale liquefatto, dall’altro la Turchia vorrebbe imporsi come un soggetto capace di una rigassificazione fin qui sottoutilizzata. Nel mezzo l’ormai limitato spazio di manovra dell’Iran. Il sunto è dato da due elementi come il collegamento tra più grande giacimento del mondo, il North Dome in Qatar, e il grande mercato di consumo del mondo, l’Europa; e il mancato gradimento di Paesi come Iran e Russia che invece avrebbero gradito il progetto dell’Islamic Pipeline. L’accelerazione del nuovo quadro in Siria può essere determinante per il gasdotto turco-qatariota.


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