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I pilastri (saltati) del modello tedesco. Come uscire dalla crisi secondo Fabbrini

Merz è molto meno “dipendente” da Putin rispetto a quanto non lo fosse lo stesso Scholz. Ed è per questo che probabilmente una coalizione formata da Cdu e Verdi potrebbe essere salutare, rafforzando il baricentro europeo. La crisi tedesca è strutturale: i tre pilastri del modello economico-politico sono saltati. E in Francia la situazione è tesa. Conversazione con il politologo Sergio Fabbrini

La Germania, scossa dall’attentato a Magdeburgo, è un grande transatlantico che ha smarrito la rotta. Un grande Paese europeo – il più florido, fino a poco fa – che ora attraversa una delle più profonde crisi di sistema probabilmente dal Dopoguerra. La caduta del governo guidato dal cancelliere Olaf Scholz apre a nuove instabilità, per lo meno fino a metà febbraio quando si terranno le nuove elezioni. Quel che è certo, riflette con Formiche.net il politologo ed editorialista di punta de il Sole 24 Ore Sergio Fabbrini, è che il prossimo esecutivo “si troverà a dover fare i conti con i tre pilastri del sistema tedesco completamente saltati”.

Professore, in questo contesto non c’è il rischio che l’onda lunga dell’attentato possa dare ancor più spazio alle forze estremiste e anti-europeiste?

È ancora molto presto per capire l’impatto dei fatti di Magdeburgo sull’opinione pubblica. Anche perché l’attentatore – è stato accertato – pur essendo un saudita aveva forti legami, o per lo meno simpatia, con l’estrema destra tedesca. Un’ambiguità inquietante. Il mio riferimento è a una generalizzata crisi del modello tedesco che è stata determinata da una somma di fattori.

Uno scenario che la classe dirigente germanica non è stata in grado di prevedere?

Purtroppo l’intera classe dirigente tedesca – trasversalmente – ha condiviso un modello di crescita economico-politico che, nel contesto attuale, sta rivelando tutti i suoi limiti. Basato, come detto in premessa, su tre pilastri.

Quali sono?

Una fortissima collaborazione con la Russia per l’approvvigionamento energetico. Strategia, quest’ultima che ha garantito per anni forniture a prezzi convenienti per le imprese tedesche ed è stato un forte elemento di competitività. Anche se ora rappresenta un grossissimo ostacolo. Il secondo pilastro è più strettamente economico. La Germania ha puntato tutto sulle esportazioni, peraltro mantenendo salari bassi all’interno, garantendosi solidi rapporti commerciali in particolare con i mercati asiatici. Il terzo elemento, è legato alla sicurezza.

La Germania è solidamente incardinata nel patto atlantico, demandando la sicurezza alla Nato. Questo è un tema prioritario nell’agenda Ue. Perché lei sostiene che anche questo “pilastro” sia saltato?

La Germania, anche per affrancarsi dal terribile passato nazista, è stato il Paese europeo più filo-americano. D’altra parte, non poteva essere diversamente. È stato, fino a ora, un modello di successo e gli Usa avevano diverse basi nucleari sul territorio tedesco. Ora, però, l’arrivo di Trump sarà piuttosto problematico così come lo fu la prima volta nel 2017. Con lui alla presidenza degli Stati Uniti, non sarà più possibile demandare il tema della sicurezza solo agli Usa. E questo deve essere un monito per tutt’Europa.

In questo contesto c’è anche un problema di carattere più strettamente politico. L’atteggiamento dei liberali sul vincolo di Bilancio è emblematica. Tant’è che è caduto il governo a fronte di questa resistenza. 

Superare il vincolo del pareggio di Bilancio dovrebbe essere una priorità assoluta per la Germania. È un cappio al collo. Parallelamente, occorrerebbe riconoscere che per alcune spese bisogna fare ricorso al debito europeo e non attingere a risorse proprie.

Neanche Angela Merkel è riuscita a creare le condizioni affinché il suo Paese non arrivasse a questo punto. 

Merkel rappresenta esattamente la quintessenza della classe dirigente tedesca ancorata al modello di cui ho parlato. La crisi tedesca parte dieci anni fa, almeno. Puntando tutto sulla domanda esterna, oggi ci troviamo a dover fare i conti con un Paese che ha pessime infrastrutture, salari bassi e che attraversa una crisi profondissima in alcuni fra i settori strategici. Un’onda lunga che arriva anche in Italia. Il caso Volkswagen, sotto questo profilo, è emblematico.

Che cosa prevede che possa succedere a febbraio, a seguito delle consultazioni con la Cdu sempre più “pesante” ma non abbastanza da formare un esecutivo?

Ci sarà un governo di coalizione. Il punto sarà capire con chi si alleeranno i cristiano-democratici. La cosa positiva è che Merz è molto meno “dipendente” da Putin rispetto a quanto non lo fosse lo stesso Scholz. Ed è per questo che probabilmente una coalizione formata da Cdu e Verdi potrebbe essere salutare, rafforzando il baricentro europeo. I socialisti tedeschi non hanno mai, di fatto, azzerato i legami con la Russia di Putin. E questo lo si è visto molto chiaramente in alcune scelte compiute dall’ex cancelliere. Merz, sull’Ucraina, non ha alcuna esitazione.

Nel frattempo, Afd avanza. 

Mi auguro che attorno al partito di estrema destra venga fatto un vero e proprio cordone sanitario. Stando anche alle dichiarazioni del leader cristiano-democratico, ci sarebbero tutti i presupposti affinché ciò possa avvenire.

A proposito di instabilità, come valuta la situazione francese?

Anche in Francia assistiamo a problematiche di tipo strutturale, di sistema. Al contrario della Germania, la Francia ha puntato tutto sulla domanda interna, alimentando a dismisura la spesa pubblica. Ora, anche questo modello di sviluppo, sta mostrando forti criticità. Politicamente, però, il problema francese non sarà legato all’affermazione del Rassemblement National, quanto più al ruolo che vorranno esercitare i socialisti. Se, come è auspicabile, riusciranno ad allontanarsi da Melenchon. Una decisione non facile, che implicherà un ripensamento della loro posizione a sinistra.


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