L’Intelligence economica, unita alla disponibilità del maggior numero di informazioni attendibili, è lo strumento principale in mano a ogni Stato per affermarsi nella competizione mondiale. Alcune nazioni hanno compreso questo mutamento più rapidamente di altre e se tra le autocrazie, Cina e Russia hanno applicato per prime i principi della guerra economica, Francia e Giappone hanno anticipato forme di concorrenza anche rispetto agli alleati. L’Italia, invece, è in ritardo. Il commento di Mario Mori, già comandante del Ros dei Carabinieri e direttore del Sisde
Secondo le classificazioni geopolitiche, l’Italia è attualmente considerata una potenza regionale compresa nell’ambito del cosiddetto Mediterraneo allargato. Spazio, questo, connotato dalla presenza di numerosi Paesi, molti dei quali con storie, religioni, tradizioni e culture, tra loro anche molto diverse e spesso conflittuali. Nato in ritardo dal punto di vista della formazione statuale, il nostro Paese ha assunto fin dall’inizio un atteggiamento strategico ondivago, conseguenza delle pressioni e delle mire delle grandi nazioni vicine, interessate alla sua posizione geografica proiettata nel Mediterraneo e quindi indispensabile fattore di potenza, in particolare per il controllo delle vie di comunicazione tra l’est e l’ovest del mondo.
Questa situazione ha influenzato e caratterizzato costantemente la politica nazionale, con l’assunzione di indirizzi talvolta non coerenti. L’esito della Seconda guerra mondiale ha determinato una scelta di campo, con il nostro inserimento nell’ambito dello schieramento occidentale, divenendone una componente significativa, collocata com’era l’Italia ai confini del blocco avversario. Questa posizione, se da un lato ha costituito una garanzia di sicurezza e stabilità, dall’altro ha determinato l’impossibilità di una politica pienamente indipendente, mirata cioè esclusivamente agli interessi nazionali, dovendosi necessariamente tenere conto delle esigenze della coalizione e in particolare del suo Paese-guida, gli Stati Uniti d’America.
La storia della comunità d’Intelligence italiana è il preciso riflesso di quella dell’intero Paese. Da subito l’organismo dovette assumere un approccio difensivo, che ne caratterizzerà l’intera storia, dando assoluta prevalenza alla parte controspionaggio rispetto a quella della ricerca informativa proiettata verso gli avversari. A conclusione del secondo conflitto mondiale, la nostra Intelligence è passata a un sistema binario con ripartizioni di competenze operative tra estero e interno, adeguandosi così agli indirizzi della quasi totalità dei maggiori Servizi mondiali. Con la legge 3 agosto 2007, numero 124, l’ultima in materia, si è voluta conferire un’impostazione sicuramente più adeguata alla funzione d’Intelligence nazionale.
Appare peraltro scontato che per l’evolversi dei rapporti internazionali, la rapidità esponenziale del progresso tecnologico, il moltiplicarsi delle aree di crisi, sino all’attuale concreto pericolo di una guerra di tipo nucleare, la normativa d’impiego del settore informativo meriti una costante rivisitazione, così da conferirle una sua costante aderenza alle esigenze. La caduta del sistema bipolare internazionale ha determinato il progressivo sfilacciarsi dei vincoli di appartenenza ai due blocchi di alleanze. La rinata competizione, mirata a raggiungere migliori posizioni nella scala dei valori di potenza, ha modificato di conseguenza i comportamenti e le tecniche operative dei contendenti.
L’attacco non è più prevalentemente portato nel campo di battaglia, al punto che il conflitto russo-ucraino è ritenuto un anacronismo, quasi un residuo storico seppure molto pericoloso. La minaccia è ora asimmetrica, diversificata, in continuo mutare, viaggia in Rete ed è rivolta al potenziale degli avversari globalmente inteso. La sfida economica, una delle componenti dell’epoca del confronto tra nazioni industrializzate, è ora l’unico campo d’azione decisivo. Nell’era dell’informazione e dell’interdipendenza, l’impiego della forza militare rende di meno e costa di più.
Per affrontare questa nuova realtà, occorrono soprattutto informazioni e conoscenze sui concorrenti, che non sono più nemici intesi come una volta ma antagonisti da sconfiggere, anche se si possono trovare nel campo amico. Su queste basi l’Intelligence economica, unita alla disponibilità del maggior numero di informazioni attendibili, è lo strumento principale in mano a ogni Stato per affermarsi nella competizione mondiale.
Alcune nazioni hanno compreso questo mutamento più rapidamente di altre e se nel mondo delle autocrazie, Cina e Russia hanno applicato per prime i principi della guerra economica, anche per ovviare al divario conoscitivo e tecnologico nei confronti dei Paesi più complessivamente evoluti, nell’ambito occidentale Francia e Giappone hanno anticipato, e di molto, forme di concorrenza anche rispetto agli alleati. L’Italia è giunta in ritardo ad affrontare questo nuovo capitolo della concorrenza internazionale.
Più adeguate modalità d’intervento sono state recepite dalla legge 124/2007, ma applicate poi in maniera del tutto insufficiente. Solo con l’istituzione del cosiddetto golden power e il varo del decreto liquidità (decreto legge 8 aprile 2020, numero 23) sono stati forniti all’esecutivo i primi efficaci strumenti per difendere i brevetti dell’inventiva e della produzione nazionale, permettendo altresì di sventare alcune operazioni societarie e scalate ostili rivolte verso significative attività produttive italiane.
Un approccio operativo caratterizzato da energia e iniziativa è l’unico modo per consentire a una nazione di mantenere e migliorare un ruolo tra gli Stati che contano nel sistema mondiale. Perché nemmeno più gli amici mostrano riguardo e un esempio è rappresentato dalle conseguenze a margine della vicenda dell’assassinio del povero Giulio Regeni. Mentre, infatti, noi tentavamo senza esito di ottenere, da parte dell’Egitto, una risposta credibile sulle cause della sua morte, la Francia si inseriva su di una nostra avanzata trattativa con il Cairo, relativa a una molto consistente commessa militare, sottraendocela e privando l’industria italiana di un cospicuo profitto.
Peraltro un’incisiva azione in campo economico, dove non esistono i vincoli cogenti propri degli accordi politici, ci consentirebbe di riprendere quella libertà operativa assolutamente necessaria per raggiungere effettivi successi e quindi, in ultima analisi, un migliore benessere complessivo del Paese. Occorrerà allora rivedere l’ordinamento della nostra comunità d’Intelligence fermo restando le due ripartizioni operative, che però dovranno riguardare più attribuzioni e compiti che la suddivisione geografica, sarà indispensabile disporre di una unica direzione da realizzare, in ambito politico, con un’autorità dotata di forti poteri d’indirizzo per quanto attiene sia alle linee strategiche sia agli obiettivi specifici da perseguire.
A questa figura si dovrà accompagnare necessariamente una guida tecnica fatta di professionalità mature e non improvvisate, come troppo spesso è avvenuto in passato, le sole in grado di consigliare il decisore politico e di indirizzare le strutture operative dipendenti su obiettivi concreti e realizzabili. Per ottenere poi risultati soddisfacenti, sarà anche necessario ricondurre sotto una singola direzione tutte le varie competenze e strutture connesse all’attività di Intelligence perché solo un’unica fonte decisionale, in possesso di tutte le dotazioni informative e quindi in grado di sviluppare analisi coerenti, può far conseguire risultati apprezzabili in un settore così delicato. In tale contesto l’apporto politico può essere migliorato e affinato con l’individuazione di una componente del Copasir, specificatamente dedicata all’attività d’Intelligence e al rapporto diretto con l’Autorità delegata competente.
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