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Nel 2025 serve un patto per l’Italia sulle riforme. Parla Pombeni

Il 2025 sarà un anno caratterizzato dalle grandi sfide che si snodano fuori dai confini nazionali. Meloni è concentrata sulla politica estera, ma serve consapevolezza del nostro ruolo. Sulle riforme serve condivisione, affinché possano raccogliere il consenso più ampio possibile. E al campo largo occorre una rivoluzione culturale. Conversazione con il politologo di UniBo, Paolo Pombeni

Siamo al crepuscolo di un anno complesso e alla vigilia di un anno di grandi sfide per l’esecutivo. Sfide che, per lo più, arriveranno dall’esterno. Il 2025 potrebbe anche essere l’anno delle riforme, laddove il governo guidato da Giorgia Meloni riuscirà a proporre soluzioni che possano essere accettabili anche per la minoranza. Secondo il politologo dell’Università di Bologna, Paolo Pombeni, serve un “patto per l’Italia” se si vorrà davvero “realizzare un’agenda di riforme utile all’architettura democratica del Paese”.

Professore, da domani inizia il rush finale in Senato per l’approvazione finale della Manovra. Come si presenta?

Non sono un economista, ma la Manovra mi sembra per l’80% fatta per il “galleggiamento”, per il restante 20% prova a intervenire in particolare sui redditi più bassi. Una distribuzione di piccole prebende. Insomma, una Finanziaria di breve respiro, ma non c’erano oggettivamente le condizioni per fare qualcosa di tanto diverso.

L’agenda politica del 2025 da cosa sarà caratterizzata?

Penso che per lo più il baricentro sarà spostato sulla politica estera. Le variabili, che incideranno anche sul nostro Paese riguarderanno per lo più gli Stati Uniti, con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, l’espansionismo russo e il conflitto mediorientale. In questa cornice, l’Europa si presenta come un’entità estremamente divisa.

L’Ue, dunque, non ha più carte da giocare?

Le ha nella misura in cui sarà capace di parlare a una voce sola. Questo richiede – sui dossier più delicati – uno sforzo di persuasione anche dell’opinione pubblica. Basta pensare al tema Difesa: stiamo ancora perdendo tempo con i finti pacifisti, che rallentano decisioni fondamentali su una questione ormai non più rinviabile.

Va detto, tornando alle sfide del governo, che in questo primo scorcio di legislatura Meloni si è concentrata moltissimo sulla politica estera, più che su quella interna. 

Vero, Meloni abilmente ha seguito una lunghezza d’onda. Tuttavia occorre essere consapevoli del proprio ruolo, sullo scenario internazionale, in funzione delle nostre reali capacità. L’Italia ha scelto – giustamente – di collocarsi in un’area geopolitica governata da grandi potenze, come gli Stati Uniti, sicuramente più concentrate sul benessere interno piuttosto che su quello dei partner. Con questo, bisogna inevitabilmente farci i conti.

Pendono, ancora, tante delle riforme che affollano l’agenda di questo esecutivo. Il prossimo sarà l’anno della svolta?

Dipenderà molto dalla maggioranza. Sarà prioritario uscire dalla sindrome dell’accerchiamento e proporre delle piattaforme comuni sulle quali lavorare. Una riforma può funzionare solo se raccoglie il più alto consenso possibile. Serve dunque un “patto per l’Italia” affinché si varino riforme davvero utili e condivise nel Paese.

Anche le opposizioni, appaiono come un gruppo piuttosto disomogeneo di forze, che trovano unità solo in nome del contrasto a questo esecutivo. Ci sono i margini per un solido cambio di passo?

Ci saranno solamente nella misura in cui avverrà una rivoluzione culturale. Occorre che qualcuno prenda in mano la situazione e faccia convergere su una piattaforma comune tante forze diverse. Uno sforzo oggettivamente non da poco. Ma è l’unico modo per fare un salto di qualità e uscire da un fortino – quello del centrosinistra – sempre più respingente e che garantisce il massimo dell’agibilità politica al centrodestra.


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