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L’Arabia Saudita entra nel programma Gcap? L’apertura di Italia e Regno Unito

Accenni di apertura sono arrivati sia da parte britannica che italiana, mentre si attende di capire meglio la posizione giapponese. Per l’Arabia Saudita, entrare a far parte del programma di sesta generazione sarebbe un ulteriore passo verso l’affermazione come potenza militare regionale, colmando l’attuale gap con le capacità di quinta

Riad potrebbe presto entrare a far parte della cordata per il caccia di sesta generazione che sarà sviluppato da Italia, Giappone e Regno Unito. Da tempo si vociferava di un interessamento saudita al programma Gcap e adesso iniziano ad arrivare le prime aperture da parte dei promotori istituzionali. Durante la London defence conference, il ministro della Difesa britannico, John Healey, ha affermato che il Regno Unito è “intenzionato a considerare” l’ingresso dell’Arabia Saudita nel programma. Secondo Healey, “ci sono state discussioni dettagliate tra le quattro nazioni per un po’ di tempo”, pur ammettendo però che “c’è ancora del lavoro da fare”. Questo nuovo sviluppo era stato anticipato anche dal ministro degli esteri, Antonio Tajani, che aveva dichiarato che “si sta lavorando” per l’estensione del programma a Riad. Dei tre Paesi promotori, solo il Giappone non ha ancora espresso pubblicamente la propria opinione al riguardo. Come riporta il quotidiano giapponese Nikkei, “i tre Paesi sperano di attingere alle ingenti risorse finanziarie del regno, mentre i sauditi sperano di promuovere l’industria della difesa nazionale”. Tuttavia pare che, dei tre, Tokyo sia il partner meno entusiasta dell’idea al momento. Le ragioni di questa resistenza non sono note, ma non si può escludere che abbiano a che fare col timore che l’ingresso di un quarto partner in questa fase possa portare a ritardi su programmi e scadenze già concordati. Inoltre, se uno dei punti di forza del programma Gcap è l’unione di tre Paesi con lunga esperienza in materia di aviazione, è possibile che Tokyo voglia valutare meglio le possibili conseguenze sul piano progettuale prima di esprimersi. È possibile che ulteriori dettagli su questo avvicinamento saudita al programma emergeranno a seguito della visita a Riad di Keir Starmer, prevista per questo mese.

Perché l’Arabia Saudita guarda al Gcap

L’Arabia Saudita punta a diventare uno dei principali attori militari del Medio Oriente entro i prossimi anni. Nel 2023, con 75 miliardi di dollari, Riad ha investito circa l’8% del Pil nella Difesa, classificandosi come uno dei Paesi al mondo che, in proporzione, spende di più per le proprie Forze armate. A fare da traino a questi investimenti sono sicuramente i conflitti latenti in Yemen e Oman, ma anche l’ambizione di rivestire un ruolo ancora maggiore nelle dinamiche regionali. Con processi di normalizzazione in fieri sia con Israele sia con l’Iran, l’Arabia Saudita si trova oggi in una buona posizione per esercitare un futuro ruolo di mediatore e arbitro terzo delle diatribe regionali. Tuttavia, come Storia insegna, il peso diplomatico necessita di un certo peso militare a sostenerlo. In questi anni, le Forze armate saudite hanno beneficiato non solo di poderosi investimenti tecnologici, ma anche del supporto addestrativo e di Intelligence di diversi Stati occidentali partner, costruendo le proprie capacità sulla base di equipaggiamenti statunitensi ed europei che, specialmente nel dominio aereo, assicurano a Riad un vantaggio considerevole rispetto a Stati come l’Iran. La Forza aerea saudita si compone infatti di velivoli all’avanguardia, come l’Eurofighter Typhoon e una versione personalizzata dell’F-15 (denominato appunto “SA”), ma manca totalmente di una componente stealth di quinta generazione. Nonostante il pluriennale corteggiamento nei confronti di Washington, gli Stati Uniti non hanno mai concesso al Regno saudita di entrare a far parte del programma F-35, giudicando non prioritario questo trasferimento di tecnologia. Entrare a far parte del Gcap, oltre a configurare l’opzione del leap frogging per saltare direttamente alla sesta generazione senza passare dalla quinta, permetterebbe a Riad di localizzare parte della produzione sul proprio territorio nazionale, riducendo l’altissimo tasso di dipendenza saudita nei confronti della componentistica estera.



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