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Il Libano punta sull’Italia per la crisi a Gaza (e anche per Damasco)

Nelle parole del primo ministro libanese (“Cara Giorgia stai facendo un gran lavoro e stai costruendo rapporti davvero buoni e stretti con il mio Paese”) si legge anche una buona dose di fiducia verso lo sforzo italiano di mantenere un equilibrio nel paese dei cedri, al netto dei rischi corsi dai militari italiani e del puzzle geopolitico che si sta intrecciando tra Gaza e Damasco

Un doppio elogio quello che il primo ministro del Libano, Najib Mikati, ha fatto nella sua visita a Palazzo Chigi e ad Atreju: il primo rivolto alla premier (“Cara Giorgia stai facendo un gran lavoro e stai costruendo rapporti davvero buoni e stretti con il mio Paese”), e il secondo che vale come riconoscimento dell’importanza del ruolo dell’Italia nella missione Unifil. Non è solo una relazione istituzionale quella che si sta rafforzando progressivamente tra Italia e Libano, dal momento che il Paese dei cedri e Roma hanno un fil rouge che li lega: gli estremi del Mediterraneo, la presenza italiana in Unifil, il ruolo di cerniera a oriente che si lega alle ambizioni del Piano Mattei, la volontà italiana di contribuire alla stabilizzazione e alla tenuta del cessate il fuoco.

Qui Roma

L’Italia rivendica due elementi: l’impegno a favore del “silenzio” da imporre alla armi in quel fazzoletto di terra e il contributo complessivo offerto dal contingente presso la missione Unifil e presso il comando del Comitato Tecnico-Militare per il Libano, che ha un obiettivo altamente gravoso, come quello di coordinare il sostegno internazionale alle Forze Armate Libanesi (temi ribaditi anche dal ministro della difesa Guido Crosetto, nel suo recente viaggio in Libano). C’è stato innanzitutto questo al centro del vertice a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Najib Mikati, nella consapevolezza che si tratta di uno scenario non isolato, ma intrinsecamente agganciato sia alla situazione in atto a Damasco che a quella a Gaza, con riverberi presenti in tutti i rivoli geopolitici mediorientali (golfo incluso).

La Siria è stato un tema affrontato con profondità dai due interlocutori, con la posizione espressa da Meloni relativa alla necessità di preservarne l’unità e l’integrità territoriale e l’importanza di assicurare l’inclusività e la protezione delle minoranze. Questa la ragione per cui la presidente del Consiglio ha condiviso con il primo ministro libanese l’urgenza di creare le condizioni per un ritorno dei rifugiati che sia volontario, sicuro, dignitoso e sostenibile.

Il rapporto con l’Italia

“Sono qui velocemente per presentare il prossimo ospite perché ci tengo”. A sorpresa, sul palco di Atreju, Meloni è voluta essere presente, proprio per introdurre Mikati e sottolineare una relazione personale che va oltre i doveri istituzionali. La premier ha definito Mikati “una persona alla quale tengo molto, con cui abbiamo molto lavorato in questi mesi difficili, particolarmente sulla crisi mediorientale, in cui siamo arrivati a un primo passo importante, l’avvio di un cessate il fuoco in Libano”. Per questa ragione ha chiesto a questo “mio amico e amico dell’Italia di venire a raccontarci il suo punto di vista sulla crisi in Medio Oriente e la situazione in Libano”. Sulla crisi in Libano Meloni aveva anche convocato un G7 straordinario proprio per chiedere più poteri a Unifil, (senza dimenticare il viaggio della premier italiana nel marzo scorso, unica leader europea ad averlo fatto).

Mikati ha replicato raccontando il rapporto tra Libano e Italia, con il ruolo di Roma come importante sostenitore della missione Unifil, assicurando una presenza “davvero importante”. D’altronde il titolo del panel dedicato al Paese dei cedri, “Viva l’Italia, viva il Libano”, ha voluto nelle intenzioni degli organizzatori mettere, una volta di più, l’accento su un Paese centrale nelle dinamiche a cavallo tra due quadranti strategici come quello euromediterraneo e quello mediorientale, in una contingenza assolutamente peculiare, dove “soffiano venti di cambiamento in una direzione” che segna “l’alba di una nuova era”.

L’intreccio con la Siria

Il riferimento di Mikati è, evidentemente, alla situazione in Siria dove è andata in scena la caduta di un regime di lunga data, che segna “un momento fondamentale nella storia della Nazione e simboleggiando la fine di un’era politica e militare”. Per cui, è stato il cuore del ragionamento del premier libanese, l’impatto di questi cambiamenti andrà inevitabilmente “oltre la caduta del regime” di Bashar al-Assad, “con effetti profondi attesi”. Uno di questi toccherà il destino dei rifugiati, che dopo la fine dell’era Assad, potrebbero nutrire l’ambizione di rivedere le proprie terre (con annesse le policies che l’Ue dovrà mettere rapidamente in campo).

Secondo Mikati la “miglior soluzione per i siriani è tornare nelle loro terre”, dopo la fuga datata 2011, anno della sanguinosa repressione, tragicamente sfociata in conflitto. “La comunità internazionale, in particolare l’Europa, dovrebbe assistere il ritorno dei siriani”, ha aggiunto, nella consapevolezza del peso specifico dello sforzo libanese in questo senso: Beirut, nonostante le enormi difficoltà note a tutti, sta collaborando a stretto contatto con l’Europa per prevenire le migrazioni illegali. “Libano e Italia condivideranno le stesse preoccupazioni e continueranno a lavorare insieme per la sicurezza della regione del Mediterraneo”.


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