Nessuno ha la sfera di cristallo, ma è chiaro che la posta in gioco, nello scenario ucraino, sia vitale: il come sarà chiusa la guerra nel cuore dell’Europa iniziata dalla follia del presidente Putin determinerà la credibilità, l’affidabilità e il futuro stesso del mondo occidentale, non solo dell’Ue o degli Stati Uniti, bensì di ogni membro dell’Alleanza Atlantica
A più di mille giorni di guerra in Ucraina, a meno di due mesi dall’insediamento alla Casa bianca di Donald Trump, all’imminente fine di questo 2024, è d’obbligo fare un bilancio serio per comprendere cosa è accaduto, dove – noi italiani, europei, occidentali – siamo, cosa ci aspetta e cosa ci spetta nei prossimi mesi.
Nessuno ha la sfera di cristallo naturalmente, ma è chiaro che la posta in gioco, nello scenario ucraino, sia vitale: il come sarà chiusa la guerra nel cuore dell’Europa iniziata dalla follia del presidente Putin determinerà la credibilità, l’affidabilità e il futuro stesso del mondo occidentale, non solo dell’Ue o degli Stati Uniti, bensì di ogni membro dell’Alleanza Atlantica.
Il punto è che al di là della forma conterà la sostanza delle azioni che si intraprenderanno. Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha dichiarato di aver messo al corrente il presidente eletto Trump sulle “terribili minacce” che incombono sull’intera Alleanza qualora Kyiv fosse costretta ad accettare le proibitive condizioni di Mosca. Non possiamo di certo sapere cosa farà la nuova amministrazione repubblicana, se ridurrà o meno gli aiuti, o se spingerà immediatamente per un tavolo di negoziato, certo però è che, dall’altra parte, il presidente Putin non lavora per una pace giusta. Come ha ricordato in una recente intervista sul Financial Times l’ex ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba, già nei primi mesi dopo l’aggressione militare russa in Ucraina il Cremlino spargeva la voce che un piano di pace fosse sul tavolo e che fosse in verità Kyiv a rifiutare ogni possibilità di trattativa. Nonostante la massiva disinformazione russa diffusa in tutti i Paesi Brics sui “buoni propositi” di voler chiudere nel breve termine il conflitto, era chiarissimo che l’obiettivo del presidente Putin fosse ben diverso. I fatti hanno dimostrato il contrario: vediamo oggi l’esercito russo rilanciare l’offensiva bellica nel Donbass e verso Kursk, tirare missili e droni su Kyiv, agitare lo spettro dell’inverno e del freddo come arma contro la popolazione ucraina.
Sempre sul Financial Times, vengono riportate le dichiarazioni di Konstantin Malofeyev, magnate russo dal pensiero spesso simile, se non identico, alla versione ufficiale del presidente Putin. Egli va ben oltre le condizioni poste da Mosca per un eventuale cessate il fuoco, solleva un punto non poco rilevante: per la buona riuscita dei colloqui di pace non si dovrà parlare soltanto dell’Ucraina ma specialmente dell’ordine globale e del ruolo e interesse della Russia nel mondo.
Ecco una conferma di quanto commentatori, nel mondo atlantico, sostengono da tempo. L’Ucraina, agli occhi di quell’Asse revisionista composto da Mosca, Pechino, Teheran e Pyongyang, è vista come un “banco di prova” della tenuta del mondo libero. A fronte di una Russia che costruisce armi con l’Iran, che firma alleanze strategiche con la Corea del Nord, che condivide la visione aggressiva anti-Occidentale della Cina, chi può assicurarci che se l’Ucraina uscisse fortemente indebolita dal conflitto, Pechino – ad esempio – non si sentirebbe in potere di dare il via libera alle operazioni per annettere Taiwan? Gli scenari di crisi, dall’Ucraina al Medio Oriente passando per l’Indo-Pacifico, sono sempre più interconnessi.
Diviene quindi riduttivo, a fronte di tale evidenza, come Nato, come Ue, come Stati Uniti, pensare di venire meno a quella che è la priorità assoluta nell’immediato futuro: garantire all’Ucraina tutto il sostegno necessario affinché, quando le trattative di pace saranno avviate, il presidente Zelensky possa essere in una posizione di forza.
Non ne va soltanto della libertà del popolo ucraino, ne va della libertà dell’intera Alleanza. Come ha ricordato Kuleba, la fiducia che tutti noi cittadini occidentali riponiamo in essa è fondata sulla applicazione vera, concreta, reale, dell’Articolo 5 della Carta della Nato. Se un Paese membro viene attaccato, la Nato risponde. Se nel campo della morale talvolta, forse, contano più le intenzioni che i fatti che ne conseguono, qui è la certezza della risposta unitaria alla minaccia che dà la misura del valore di un’Alleanza, sia in pace sia in guerra. Ecco, dunque, l’importanza esistenziale della deterrenza. Se manca tale capacità, il rischio è di promulgare alti e nobili principi ma poi, nella realtà, non saperli attuare.
Oggi l’Ue ha dinnanzi una sfida a cui non può sottrarsi: l’obiettivo del 2% del Pil in difesa è la garanzia minima. C’è una urgenza europea che va colmata rapidamente riguardo limiti e paramenti del Piano strutturale di bilancio: sempre più prende piede l’idea di una deroga per gli investimenti nella difesa, poiché un rapido consolidamento di tale settore è necessario. Queste sono alcune direttrici per garantire il concreto rafforzamento di quel pilastro europeo nella Nato che, visti i tempi, diviene imprescindibile. Come sosteneva Margaret Thatcher, “il nostro modo di vivere è assicurato non dalla giustezza della nostra causa, ma dalla forza della nostra difesa”.