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Navi portadroni. Anche l’Iran si dota di una capacità di proiezione dal mare

Benché non comparabili in termini puramente operativi con le portaerei, l’avvento delle navi portadroni riduce sensibilmente la distanza tra le Marine militari mondiali. La nuova portadroni iraniana Shahid Bagheri è il perfetto esempio di come, anche nel dominio navale, gli Uav stanno ridefinendo i parametri delle forze militari convenzionali

Capacità di proiezione assimilabili a quelle di una portaerei ma economicamente e industrialmente sostenibili anche per potenze minori. Ecco cosa promettono le portadroni, gli avveniristici progetti nati per dotare le Marine militari di assetti in grado di operare velivoli a pilotaggio remoto (Uav) dal mare. In un contesto militare internazionale dove le portaerei sono ancora riconosciute come la massima espressione di potenza militare convenzionale, gli Stati che non dispongono delle tecnologie, della dimensione industriale e dei fondi necessari alla costruzione di basi aeree galleggianti punteranno su queste nuove piattaforme per incrementare le proprie capacità di proiezione. Benché il confronto tra portaerei e portadroni rimanga impari (se non altro dalla comparazione degli assetti imbarcati), la proliferazione di questo tipo di navi promette di porre fine a un’epoca in cui solo le maggiori potenze navali potevano vantare capacità di proiezione aerea dal mare.

La nuova portadroni iraniana

Alcune immagini satellitari catturate da Maxar Technologies mostrano la Shahid Bagheri, la nuova portadroni militare iraniana, ancorata al largo del porto navale di Bandar Abbas nel Golfo Persico. Con un ponte di volo angolato lungo centosettanta metri e largo diciotto, la nave dispone anche di uno ski-jump utile a ridurre la superficie da percorrere in fase di decollo. La Shahid Bagheri dovrebbe essere in grado di imbarcare droni come lo Shahed 129 e il Mohajer 6, entrambi prodotti dall’Iran e ormai presenti in tutte le principali zone di conflitto. Sempre dalle immagini diffuse da Maxar è possibile notare gli adeguamenti operati su altre due navi, la Shahid Mahdavi e la Shahid Roudaki, ancorate vicino alla Shahid Bagheri. A differenza della prima, queste non sembrano dotate di ski-jump e pertanto è possibile che, per quest’ultime, sia previsto l’impiego di droni a decollo e appontaggio verticale. I nuovi vascelli sono il risultato di un lavoro pluriennale di riconversione di navi portacontainer commerciali. Sebbene anche altre Marine militari stiano lavorando su questo tipo di piattaforme, questa è la prima volta che degli assetti militari vengono ottenuti grazie alla riconversione di navi civili, a riprova della relativa facilità di costruzione rispetto alle portaerei convenzionali. I ponti di volo sono stati ottenuti mediante la rimozione delle sovrastrutture superiori, mantenendo (sembrerebbe) inalterata la struttura portante delle navi. La sola disponibilità di immagini satellitari rende impossibile determinare con certezza la presenza di hangar interni, tantomeno la loro capienza di carico. Tuttavia, considerando le dimensioni ridotte dei droni rispetto agli aerei convenzionali e il tonnellaggio delle navi commerciali (solitamente compreso tra le 10 e le 20mila tonnellate), si può ipotizzare che queste navi siano potenzialmente in grado di schierare centinaia di Uav in rapida successione. Capacità questa che, nell’epoca in cui i sistemi di difesa aerea navale e terrestre sono esposti ai rischi derivanti dagli attacchi saturanti, è tutt’altro che secondaria. Anche le tempistiche industriali sono un fattore da tenere in considerazione. La riconversione delle portacontainer ha richiesto circa due anni, mentre per varare una portaerei si può impiegare anche più di un decennio.

Chi altro lavora sulle portadroni?

Ad oggi, sono pochi i Paesi che possono vantare passi in avanti considerevoli nella messa in campo di navi portadroni e ancora meno quelli con piattaforme completate o vicino al completamento. È il caso della Turchia che, dopo aver assunto un ruolo di leadership nel settore dei droni con gli ormai noti Bayraktar TB-2, ha recentemente lanciato la Tcg Anadolu, nave da assalto anfibio (Lhd) riconvertita per operare i Bayraktar TB-3, una versione navalizzata e imbarcabile dell’Uav di Ankara. Anche la Cina potrebbe essere più avanti di quanto non si ritenga nel campo delle portadroni, specialmente se pensiamo alla nave misteriosa che è stata recentemente avvistata nel porto di Guangzhou e che potrebbe essere proprio un primo esperimento della Marina dell’Esercito popolare di liberazione in questa direzione. A onor del vero, anche l’Italia (insieme ad altri Paesi europei) sta conducendo sperimentazioni per una futura implementazione dei droni sulle navi della Marina militare (il cosiddetto progetto “Sciamano” Drone Carrier) ma, anche in virtù del fatto che la Marina militare dispone già di due portaerei (Cavour e Garibaldi) e di una portaeromobili multiruolo (nave Trieste, recentemente consegnata), questi progetti non sono al momento in cima alla lista delle priorità. Similmente, anche la Us Navy sta portando avanti progetti non meglio precisati relativi allo sviluppo di assetti navali portadroni ma, per le medesime ragioni dell’Italia, non sembra averne fatto una priorità assoluta. Infatti, le portadroni rimangono un’opzione più accattivante per quei Paesi che o non dispongono in assoluto di portaerei (come Iran e Turchia) o che faticano a sostenerne la produzione (come la Cina). Tuttavia, non bisogna sottovalutare l’impatto che questa nuova categoria di navi potrebbe avere nel medio e nel lungo termine. Se infatti oggi è a dir poco futuristico immaginare una sostituzione integrale delle portaerei con le portadroni, non si può escludere che, nel prossimo futuro, la capacità di impiegare vari tipi di Uav dal mare senza “intasare” le piste delle portaerei diventi un fattore irrinunciabile per il mantenimento di una forza navale competitiva sia sotto il profilo difensivo sia sotto quello offensivo.

 

(Foto: Maxar Technologies)


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