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Non solo Fmi. Così l’Italia vuole crescere nelle grandi istituzioni globali

​Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che consente all’Italia di aumentare la propria presenza presso tutte quelle banche e fondi che sostengono lo sviluppo di aree avanzate o meno. Ecco dove Roma mette piede e dove rafforza la propria presenza

L’Italia cresce nei grandi organismi multilaterali che sostengono lo sviluppo di vaste aree del Pianeta, a cominciare da quelle meno avanzate. Il governo, nell’ultimo Consiglio dei ministri, ha infatti approvato su proposta del ministro degli Affari esteri Antonio Tajani e del titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti un disegno di legge che introduce disposizioni per la partecipazione italiana a banche e a fondi multilaterali di sviluppo.

Di che si tratta? Fondamentalmente di tutti quegli organismi, enti, internazionali e partecipati da più governi, incaricati di finanziare la ripresa e lo sviluppo delle aree, spesso sensibili e quasi sempre in ottica Agenda 2030, del globo. Ne sono un esempio il Fondo monetario internazionale, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, il Fondo africano per lo sviluppo. L’Italia, ad oggi, è già presente con un piede nella Banca Mondiale, nella Inter-American Development Bank, nell’African Bank e nella Asian Development Bank. Ora, come si legge nel comunicato diffuso al termine del Cdm, tale peso globale potrebbe aumentare.

“Il disegno di legge ha come obiettivo la ratifica degli emendamenti agli accordi istitutivi della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e del Fondo africano di sviluppo, dando concreta ed effettiva attuazione agli impegni sottoscritti”, è la premessa. Inoltre, tale medesimo disegno, “autorizza il ministero dell’Economia a dare seguito all’aumento delle quote di partecipazione deciso dal Consiglio dei governatori del Fondo monetario internazionale, che mira a mantenere inalterata la capacità di prestito complessiva del Fmi, riequilibrando il rapporto tra le risorse proprie dello stesso Fmi e quelle ricevute a prestito dai membri, in favore delle prime”. Dunque, a tal fine, l’accordo raggiunto prevede: un aumento delle quote di partecipazione al Fmi, una riduzione del prestito collettivo New Arrangements to Borrow, unitamente alla cessazione degli accordi di prestiti bilaterali Bilateral Borrowing Agreements.

Non è finita. Dalla riunione dei ministri a Palazzo Chigi è emersa la volontà disciplinare la partecipazione italiana all’aumento di capitale a chiamata della Banca africana di sviluppo, “che eroga finanziamenti ai Paesi a medio reddito a condizioni non concessionali, seppur più favorevoli di quelle di mercato. Del gruppo fa parte anche il Fondo africano di sviluppo, sportello concessionale del gruppo (la banca di cui sopra, ndr) che concede prestiti e doni ai 38 Paesi più poveri del continente”.

Ancora, Roma si prepara a entrare anche nella Società interamericana di investimento, braccio privato della Banca interamericana di sviluppo (Interamerican development bank) che “concede finanziamenti al settore privato e si occupa del sostegno alle piccole e medie imprese della Regione Latino-americana e dei Caraibi. Si autorizza poi la sottoscrizione da parte dell’Italia di capitale ibrido della Banca internazionale per la ricostruzione e lo Sviluppo e dispone la necessaria autorizzazione di spesa”. E infine, via alla “partecipazione italiana all’aumento di capitale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, istituita nel 1991 su iniziativa dei paesi della Comunità europea al fine di favorire la transizione verso l’economia di mercato e promuovere l’iniziativa privata e imprenditoriale nei paesi dell’Europa centrale e orientale”.


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