“Il payback drena i guadagni e blocca gli investimenti in ricerca”, dice Domenico Siclari, professore di Diritto dell’economia e dei mercati finanziari presso La Sapienza. “Il meccanismo – spiega – mette a rischio la sostenibilità del sistema, ma penalizza anche i pazienti”
Si discute ormai da anni del meccanismo del payback e dei suoi effetti controversi sul sistema sanitario e sull’industria farmaceutica. Tuttavia, il dibattito non accenna a spegnersi, e le criticità restano irrisolte. Ma cos’è esattamente il payback? E perché suscita così tante perplessità tra operatori di settore, istituzioni e cittadini? Questo meccanismo, nato per contenere la spesa pubblica farmaceutica, finisce spesso per incidere negativamente sulla capacità di innovazione e sulla competitività delle imprese, con conseguenze sui pazienti. Ne abbiamo parlato con Domenico Siclari, professore di Diritto dell’economia e dei mercati finanziari presso l’Università La Sapienza di Roma.
Cos’è il payback?
Il payback è – come dice la parola stessa in inglese – un meccanismo di restituzione finanziaria che lo Stato italiano, con una norma di legge, ha imposto alle imprese del settore farmaceutico. Funziona in modo abbastanza semplice nel principio, ma complesso nell’attuazione. Il meccanismo è che quando si superano determinati tetti di spesa sanitaria pubblica relativa alla vendita di farmaci, i ricavi e i guadagni delle imprese farmaceutiche vanno a colmare l’eccedenza della spesa dello Stato.
Un meccanismo singolare per il nostro sistema…
Sì, è alquanto peculiare. Perché dal punto di vista della struttura economica, in un’economia di mercato, si manifesta abbastanza illogico e irrazionale. Sostanzialmente è come se il venditore di un bene al superamento di un certo livello di beni venduti fosse tenuto a restituire ai compratori il prezzo di quei beni. E non solo. È tenuto anche a lasciare al compratore la proprietà di questi ultimi, sostanzialmente a titolo gratuito. È poco giustificabile in un’economia di mercato.
E quindi? Come si giustifica?
La Corte costituzionale nelle recenti sentenze sostiene che si dovrebbe configurare come un contributo solidaristico e non come un meccanismo di tassazione.
In che misura il payback grava sulle aziende, da un punto di vista pratico?
Si tratta di un prelievo forzoso, ma non solo. C’è un problema nel problema. La misura del payback è variabile di anno in anno. Le imprese farmaceutiche scontano l’assoluta imprevedibilità della somma che ogni anno dovranno corrispondere allo Stato e alle Regioni. Non essendo un contributo fisso, ma legato allo sforamento del tetto di spesa, il suo importo deve essere determinato di volta in volta. La vera sfida per le aziende farmaceutiche è ottenere una maggiore prevedibilità di questo onere, indispensabile per garantire una pianificazione sostenibile nel tempo.
Quali conseguenze comporta questa imprevedibilità?
Senza prevedibilità del prelievo, l’impresa sarà continuamente esposta a richieste di restituzione finanziaria che in quanto non prevedibili possono minacciare la stessa sopravvivenza delle imprese. Non è solo illogico e irrazionale, ma il drenaggio di risorse finanziarie espone le aziende a una difficoltà nella programmazione degli investimenti.
E questo significa che?
Se un’impresa farmaceutica è costretta a privilegiare le restituzioni finanziarie rispetto agli investimenti, viene meno la possibilità di programmare attività strategiche, come la ricerca, che rappresenta un driver fondamentale per l’innovazione. Senza investimenti adeguati, infatti, la ricerca non può progredire e, di conseguenza, non si possono sviluppare nuovi farmaci. Questo non solo mette a rischio la sostenibilità del sistema, ma penalizza anche i pazienti, che dovrebbero essere i principali beneficiari delle politiche sanitarie del Sistema sanitario nazionale. I meccanismi di solidarietà finanziaria, come il contributo alla spesa sanitaria nazionale, devono essere ragionevoli e sostenibili per l’industria, evitando di trasformarsi in oneri che ne compromettano lo sviluppo, soprattutto in un settore così essenziale come quello farmaceutico.
Prima ha menzionato ulteriori complessità nell’attuazione del payback, di cosa si tratta?
Il problema del payback non si limita all’aspetto strutturale. Penso alla disparità fra spesa diretta e spesa convenzionata. La prima consiste negli acquisti che Stato, Regioni e aziende sanitarie fanno direttamente. La seconda, invece, viene erogata dallo Stato alle farmacie per la messa a disposizione dei farmaci a favore della collettività. Questi due canali operano con tetti di spesa separati. Nel tempo, abbiamo osservato che la spesa diretta supera sempre il limite, mentre quella convenzionata no. Questo dimostra che lo sforamento del budget non è attribuibile all’industria farmaceutica, ma riflette la natura anelastica della domanda di farmaci. Tale domanda, infatti, non dipende dall’offerta o dalle strategie industriali, ma esclusivamente dalle esigenze terapeutiche dei pazienti.
Ma questo sforamento perché avviene?
Lo sforamento dei tetti di spesa è il risultato di una errata programmazione da parte del settore pubblico. Questo accade perché i tetti non sono realistici o non sono adeguatamente calibrati per rispondere alle reali esigenze della popolazione e dei pazienti.
Cosa non funziona?
Dato che lo sforamento non dipende dall’industria farmaceutica, ma da altri fattori governati dal sistema sanitario pubblico, è il meccanismo sottostante alla programmazione e consumo dei farmaci che non funziona. Tutto il sistema dovrebbe essere messo a regime. Il tetto non è programmato bene se viene sempre sforato, altrimenti qui sì che diventa una tassa.
Interessante, ma immagino che l’impatto si estenda oltre i confini nazionali. Che conseguenze ha il payback sulla competitività dell’Italia rispetto a quella di altri Paesi europei?
Il problema per la competitività internazionale del nostro Paese è semplice. Se le aziende che operano e distribuiscono in Italia vengono influenzate in modo così imprevedibile dal meccanismo del payback, non possono essere messe in condizione di programmare investimenti in Italia e tenderanno ad investire altrove. Questo meccanismo del payback non garantisce la certezza del diritto che è il presupposto fondamentale della programmabilità degli investimenti. Un’azienda, dovendo scegliere, non sceglierà l’Italia per localizzare e programmare i suoi investimenti.
Esistono modelli o soluzioni alternative?
Sarebbe possibile proporre un limite massimo di ripiano rispetto al fatturato aziendale utile. Il vantaggio è che questo limite consentirebbe ad ogni azienda farmaceutica di prevedere la sua spesa e garantire la sostenibilità della stessa per permettere la pianificazione degli investimenti futuri.
Ritiene che il dialogo tra industria e istituzioni sia utile per individuare nuove soluzioni? Come potrebbe essere migliorato?
Il dialogo tra istituzioni e mercato è un pilastro fondamentale in un’economia matura, specialmente in mercati fortemente regolamentati come quello farmaceutico. Affinché la regolamentazione sia davvero efficace ed efficiente, è essenziale che le istituzioni comprendano a fondo le esigenze del settore. Nel caso del mercato farmaceutico, questa dinamica assume un rilievo particolare: lo Stato, in linea con l’articolo 32 della Costituzione, ha il dovere di garantire un livello adeguato di assistenza sanitaria e di tutelare la salute pubblica. L’industria farmaceutica è pronta a contribuire a questi obiettivi solidaristici, a condizione che i meccanismi adottati favoriscano un funzionamento sano del mercato, sempre nell’interesse ultimo dei pazienti.
A suo avviso, perché nonostante si parli da oltre un decennio degli effetti distorsivi del payback, non si è ancora riusciti a superare le criticità o ad aggiornare il sistema?
È una bella domanda. Dovrebbe essere posta nell’ambito di dialogo fra istituzioni e operatori di mercato menzionati poco fa. Non necessariamente questo strumento andrebbe cancellato, ma quantomeno rivisto e corretto per garantire il buon funzionamento del mercato.
Altrimenti?
Per sviluppare un farmaco servono anni di ricerca e miliardi di euro di investimenti. Abbiamo istituti storici – come la privativa industriale, il brevetto – che sono stati ideati per garantire un rientro delle spese a chi ha sopportato i costi di ricerca, spese altissime nel settore farmaceutico. Il payback prevede un meccanismo quasi opposto: lo Stato ogni anno fa un prelievo, per di più imprevedibile che drena i guadagni e conseguentemente blocca gli investimenti in ricerca. Senza investimenti in ricerca il settore non può andare avanti.