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Più debito contro i dazi. Pechino scommette ancora sul mercato

Dai verbali della Conferenza economica, conclusa la settimana scorsa, emerge la volontà di portare il deficit al 4% nel 2025 per attutire eventuali crisi delle esportazioni. Oltre 180 miliardi di spesa aggiuntiva, da coprire con la fiducia degli investitori. E non è detto che il gioco riesca

Emergono altri verbali dalla Conferenza internazionale per l’economia, conclusasi la settimana scorsa. Con una prima presa di coscienza da parte del governo, come raccontato da questa testata: i consumi sono la pietra angolare della crescita, senza una loro ripartenza è inutile prefiggersi target di Pil credibili. Dunque, lavorare sulla domanda e non solo imbottire le banche di denaro. Adesso però, nuove carte visionate da Reuters, svelano qualcosa di molto preoccupante.

Pechino ha deciso di alzare il deficit al 4% del Prodotto interno lordo l’anno prossimo, un record per il Paese, mantenendo un obiettivo di crescita economica di circa il 5%. In altre parole, la Cina farà più debito. Il nuovo piano di deficit si confronta con un obiettivo iniziale del 3% del Pil per il 2024 ed è in linea con una politica fiscale più proattiva delineata dai vertici del partito dopo la riunione della Conferenza economica. Ora, l’ulteriore punto percentuale di pil in spesa ammonta a circa 1,3 trilioni di yuan (179,4 miliardi di dollari). Gli stimoli saranno finanziati tramite l’emissione di obbligazioni speciali fuori bilancio.

Questa, nei fatti, è una scommessa. Perché alzare la posta di 180 miliardi di dollari, in termini di maggior spesa finanziata solo dal mercato, vuol dire essere certi che gli investitori sposeranno la causa e sottoscriveranno i bond sovrani propedeutici all’innalzamento del deficit. E se così non fosse, quei soldi bisognerebbe tirarli fuori direttamente dalle casse pubbliche. Di sicuro a Pechino sono convinti della necessità di battere la strada del debito. Anche perché la mossa si inquadra nel complesso di preparativi della Cina per contrastare l’impatto di un previsto aumento dei dazi statunitensi sulle importazioni cinesi, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca a gennaio. Come a dire, salvare l’economia qualora esportare merci cinesi diventasse troppo oneroso.

E lo stesso vale per i consumi, poc’anzi menzionati: poiché la carenza di domanda interna da parte dei cittadini e delle imprese ha lasciato la Cina particolarmente esposta all’andamento delle esportazioni, tale dipendenza viene considerata un elemento di fragilità, alla luce dei nuovi dazi minacciati. Non a caso, il rapporto conclusivo della Conferenza “si trova ad affrontare un impatto negativo sempre più grave a causa del cambiamento dell’ambiente esterno” e che “l’economia deve ancora affrontare molte difficoltà e sfide”.


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