Il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, intervenuto nel corso dell’Aperithink organizzato da Formiche, ha raccontato il grande vuoto nella macchina dei soccorsi che l’Italia non è ancora riuscita a colmare. Ma nulla è perduto. Perché allertare non basta più
Una Protezione civile più scattante, verticale e, soprattutto, connessa con le esigenze dei territori e dei cittadini. Un salto di qualità che per il ministro Nello Musumeci, responsabile del dicastero della Protezione civile e del mare, non è più rimandabile. Come ha fatto intendere fin dalle prime battute nel corso del colloquio di Flavia Giacobbe, direttrice di Formiche, al centro dell’Aperithink organizzato presso il bar del Fico, nel centro di Roma e durante il quale è stato presentato il volume-intervista dello stesso Musumeci Gli italiani e i rischi naturali. Perché la prevenzione ci può salvare (Rubbettino).
“In Italia il tema della Protezione civile induce subito a pensare al disastro, all’emergenza. Questo perché in Italia non si è mai fatta prevenzione, per colpa di un limite culturale, quasi antropologico. E nessuno si sottrae a questo limite. Ecco perché quando si parla di Protezione civile, il nostro pensiero va subito al disastro, al danno. Dovremmo invece prevenire il problema, la catastrofe, la tragedia. Il compito dunque del governo è quello di trasferire, di infondere nelle istituzioni, il valore della prevenzione”, ha subito messo in chiaro Musumeci.
Il ministro è poi entrato nel merito del cambiamento necessario nel sistema di soccorso e gestione delle emergenze italiano. “Un altro problema è la condotta, che oggi poggia su un sistema di allerta, gialla, arancione o rossa che sia. Non mandiamo i bambini a scuola, lavoriamo da casa, ma questo comporta un limite intrinseco: non abbiamo mai fatto prevenzione, nonostante la Protezione civile italiana sia tra le migliori e più efficienti al mondo, questo lo voglio dire. Faccio un esempio, se c’è allerta rossa e noi lo comunichiamo, poi manca una il secondo passaggio, ovvero dire al cittadino come comportarsi, come agire in caso di allerta. Dunque non basta dire alla popolazione che c’è un’allerta rossa, bisogna comunicare e far comprendere i comportamenti da tenere. Il tema è proprio questo, non possiamo continuare solo con l’allertamento, ma dobbiamo arrivare alle persone e spiegargli come comportarsi in caso di evento estremo”.
E se c’è un nemico subdolo, quello è la burocrazia. “Non c’è dubbio che regole meno frammentate, più organiche, avrebbero aiutato. In Italia abbiamo questo brutto vizio di polverizzare le competenze, per fare contenti tutti. Ma così facendo non consentiamo a nessuno di agire in modo efficace. Se lavorassimo sulle competenze, in modo più strutturato, ordinato, eviteremmo molti problemi. Se c’è una frana, chi se ne occupa? Il comune, la regione, la protezione civile, le forze dell’ordine. Bene, ma queste competenze vanno concentrate, superando al contempo il grande ostacolo della burocrazia, che è l’altra grande nemica dell’efficienza. In alcuni casi, le regole poco chiare, sconnesse tra loro, sono un problema gigantesco”, ha spiegato Musumeci. “Quante volte abbiamo percepito, in caso di emergenza, il timore della giustizia, delle procure. Con il risultato che ordinanze e provvedimenti, spesso, non sono stati firmati. Come governo stiamo lavorando a una premialità dei burocrati, incoraggiando chi si dà da fare e chi invece non lo fa. Tanto per fare un altro esempio, per pulire il fiume dobbiamo confrontarci e ottenere il benestare di otto enti”.
Altra considerazione, il rapporto con l’ambiente. E qui Musumeci ha chiarito un punto. “Il governo Meloni non è negazionista nei confronti del climate change. Nel 2016, l’allora esecutivo di sinistra, diede disposizione affinché fosse predisposto e attuato il piano di adattamento al cambiamento climatico. Il primo punto del programma di questo governo è l’adozione del medesimo piano. Quindi, non c’è nessuna negazione. Semmai abbiamo una concezione dell’ambiente diversa da altri settori della geografia politica. E cioè che l’uomo non è nemico dell’ambiente, mummificare un ecosistema non comporta alcun beneficio, serve l’uomo, sempre, come parte integrante della natura. Parlo di ambientalismo pragmatico, dove l’ambiente non può fare a meno dell’uomo”.