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Dalle reti oncologiche alle multe ai non vaccinati. Le risposte di Zaffini

In ambito oncologico il nostro Ssn si trova davanti a sfide urgenti che richiedono ripensamenti profondi. Franco Zaffini, presidente della Commissione Affari Sociali del Senato, analizza i progressi fatti e le criticità ancora da risolvere: “È una foresta che cresce, ma fanno notizia solo gli alberi che cadono”. Sullo sfondo, la cancellazione delle multe ai non vaccinati: “Oggi perseverare, incassando le multe, sarebbe addirittura incostituzionale”

L’oncologia sembra rientrare a pieno titolo fra i dossier principali di questo governo, ma permangono criticità che richiedono soluzioni urgenti: dall’implementazione delle reti oncologiche regionali alla riduzione delle liste d’attesa, fino al delicato tema della sanità integrativa. A inizio mese, una call to action promossa da associazioni di pazienti ha acceso i riflettori sulla mancanza di tempi certi per l’accesso alle cure, un problema ancora irrisolto per migliaia di cittadini. Tema, quest’ultimo, al centro del Ddl Prestazioni Sanitarie – volto a prevedere delle linee guida nazionali che possano garantire degli standard minimi per la redazione di Pdta oncologici uniformi su tutto il territorio nazionale – attualmente in esame presso la commissione Affari sociali. Ne abbiamo parlato con Franco Zaffini, presidente della Commissione Affari Sociali del Senato, che ha riflettuto sui progressi raggiunti e sulle ulteriori riforme necessarie per garantire un Servizio sanitario nazionale più equo e sostenibile. Ma il presidente si sbilancia anche sull’annullamento delle multe ai non vaccinati, contenuta nel decreto Milleproroghe, che ha suscitato reazioni contrastanti sia in Parlamento che tra l’opinione pubblica.

Nel corso della presente legislatura, c’è stata molta attenzione nei confronti delle tematiche legate al mondo dell’oncologia, che sembrerebbe essere una delle priorità per questo governo. Quali sono stati, secondo lei, i progressi più importanti?

Innanzitutto, siamo riusciti a coinvolgere le Regioni nell’implementazione dei dati del registro tumori, reso operativo dal precedente governo. Oggi, però, cominciamo a trarne i frutti grazie all’azione costante di questo governo, supportato dal ministero della Salute e dalle funzioni preposte alla prevenzione. Questi attori sono stati sempre molto attenti, sollecitando le regioni per implementare il cruscotto dati. Questo rappresenta già un primo, grande risultato. Il secondo traguardo riguarda l’implementazione del piano oncologico, per il quale sono state stanziate risorse aggiuntive: dieci milioni di euro in più all’anno, per un totale di cinquanta milioni in cinque anni. Infine, come terzo elemento, stiamo lavorando intensamente sulle terapie avanzate, che, come noto, riguardano soprattutto l’ambito oncologico e sono il frutto della ricerca. In questo contesto, ho personalmente contribuito alla creazione di un intergruppo insieme al collega Daniele Manca del Partito democratico e stiamo lavorando affinché si riesca a costituire un fondo dedicato. Su questo abbiamo ricevuto rassicurazioni dal ministro, anche se resta da trovare una quadra definitiva dal punto di vista delle coperture finanziarie.

Nonostante i molteplici interventi, anche normativi, vi sono però ancora varie difficoltà segnalate per quanto riguarda l’accesso alle cure per i pazienti oncologici all’interno delle Reti oncologiche regionali. Associazioni dei pazienti e società scientifiche hanno pubblicato una call to action rivolta alle istituzioni sulla necessità di avere percorsi di cura più uniformi a livello nazionale, migliorando di conseguenza i tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni nelle varie regioni. Pensa di raccogliere questo appello?

Certamente sì, accolgo pienamente l’appello, e credo che le associazioni di pazienti, così come quelle dei familiari, abbiano assolutamente ragione. Il problema di fondo è sempre lo stesso: la particolare struttura italiana del Servizio sanitario nazionale, condizionata dalla modifica del Titolo V. Una modifica che, fatta male, ha creato un sistema complesso e spesso conflittuale nei rapporti tra Stato e Regioni. Basti pensare che il 70% delle pronunce della Corte costituzionale riguarda proprio il dirimere conflitti di competenza in ambito sanitario. Questa situazione schizofrenica, ereditata da quella riforma, si somma agli enormi problemi strutturali che ci sono stati consegnati. Penso al sottofinanziamento del sistema sanitario, alla carenza di medici e infermieri, al fatto che il 50% delle strutture ospedaliere non è a norma antisismica e il 30% non è a norma antincendio. Potrei continuare all’infinito con l’elenco di criticità ereditate da chi ci ha preceduto nel governo del Paese. In tutto questo, le vittime sono sempre i pazienti e i loro familiari.

Quali passi sono necessari, secondo lei?

Io insisto a dire che il nostro sistema sanitario, con tutti i suoi difetti, è il migliore fra i Paesi a noi “gemelli”, all’interno di Ue, Usa o Far East. Eroghiamo due milioni di prestazioni al giorno, ma è evidente che non basta. Bisogna affinare le procedure e migliorare l’organizzazione. So che quasi tutte le Regioni a cui è stato chiesto di presentare un piano dei fabbisogni hanno risposto e tutte ormai prevedono reti oncologiche regionali. Tuttavia, tra quanto è stato previsto e ciò che effettivamente serve c’è ancora una distanza significativa. Ribadisco la massima attenzione verso le istanze delle associazioni di pazienti e familiari. È una foresta che cresce, anche se purtroppo tendono a fare notizia soltanto gli alberi che cadono. Questo è anche un limite dell’informazione che arriva ai cittadini. Dobbiamo essere più consapevoli e fieri del nostro Servizio sanitario nazionale, oltre che maggiormente grati al personale che, ogni giorno, lavora con dedizione per farlo funzionare.

Il tema delle liste di attesa ha sicuramente un impatto anche per quanto concerne la cura dei pazienti oncologici. In che modo si sta affrontando il problema? A che punto è dunque l’attuazione del Dl Liste di Attesa?

Ad agosto abbiamo approvato un decreto urgente, che è in larga parte già attuato e sta iniziando a dare i primi risultati, anche se il testo, è stato condizionato da una trattativa all’interno della Conferenza Stato-Regioni che ha lasciato forse troppo da parte l’interesse del paziente. Adesso, nella mia commissione, abbiamo in elaborazione il Ddl “Prestazioni sanitarie”, che affronta in gran parte il tema delle liste d’attesa. È un tema antichissimo: basti pensare che, ai tempi del suo primo mandato, il governatore Roberto Formigoni in Lombardia inventò il privato convenzionato proprio per assorbire l’enorme mole di prestazioni sospese in lista d’attesa. Eppure, quelle liste sono ancora lì, e forse nel frattempo sono persino aumentate. Nel frattempo, il privato convenzionato è diventato un pilastro importante del nostro sistema sanitario nazionale, tanto che oggi eroga quasi il 40% delle prestazioni complessive.

Cosa significa questo?

Significa che il sistema va riformato, partendo dal front office con il paziente e con i medici di territorio, i medici di medicina generale. Il front office del Servizio sanitario nazionale deve recuperare appropriatezza nella prescrizione di prestazioni ed esami, mentre il cittadino deve essere meglio indirizzato verso percorsi di diagnostica e cura più appropriati e confacenti alle sue patologie. In poche parole, bisogna sviluppare le reti e lavorare sulla presa in carico precoce. Questo obiettivo si inserisce pienamente nel progetto di sanità di territorio che il governo sta portando avanti con il noto DM77.

Quali altre sfide attendono il nostro Ssn in ambito oncologico?

Nel provvedimento che abbiamo in corso, vedo tantissime misure molto importanti e attendo che si possano dispiegare. In particolare tutto ciò che riguarda la cura delle persone fragili richiede una riforma complessiva del sistema, che deve necessariamente coinvolgere anche la sanità integrativa. È evidente che il nostro Servizio sanitario nazionale, progettato ormai 45 anni fa, nella sua forma attuale non riesce a soddisfare pienamente i bisogni di cura. La prova è che il Fondo sanitario nazionale è oggi finanziato con 138 miliardi di euro, ma i cittadini spendono circa altri 42-45 miliardi di tasca propria, il cosiddetto out of pocket. Questi numeri ci fanno comprendere chiaramente che il sistema, così com’è, necessita di una riforma profonda. La commissione sta lavorando a una importante riforma della sanità integrativa, specialmente alla strutturazione del secondo pilastro sanitario tale da poter stabilire un’integrazione che consenta un aumento progressivo delle prestazioni erogate.

Spostandoci di tema, è di pochi giorni fa la notizia legata all’annullamento delle sanzioni ai non vaccinati inserito all’interno del decreto Milleproroghe. Scelta che ha ottenuto reazioni divergenti anche all’interno della maggioranza. Lei cosa ne pensa?

Ho già scritto e detto molto su questo tema, ma è importante ribadirlo con chiarezza. È stato fondamentale agire con i vaccini durante la fase di emergenza legata al Covid-19. Dal punto di vista terapeutico e scientifico, dobbiamo essere grati a questo percorso, che ci ha permesso di uscire non solo dall’emergenza sanitaria, ma anche da quella economica e sociale, causata dai provvedimenti di restrizione delle attività e delle libertà d’impresa.

Ma…

Detto ciò, il presupposto delle multe era l’obbligo vaccinale, che a sua volta si basava su due considerazioni fondamentali e presupposti straordinari. Il primo era lo stato d’emergenza, che, come noto, consentiva di sospendere temporaneamente alcune garanzie costituzionali, come accaduto per le libertà d’impresa. Il secondo presupposto era la presunzione, rivelatasi poi errata, che chi era vaccinato non trasmettesse il virus.

E oggi?

Entrambi questi presupposti sono venuti meno. Non c’è più lo stato d’emergenza, poiché il Covid-19, grazie ai vaccini o semplicemente alla sua evoluzione, non rappresenta più un’emergenza nazionale. Inoltre, la comunità scientifica, e da ultimo l’Aifa, hanno confermato che la convinzione secondo cui i vaccinati non trasmettevano il virus era fallace. Pertanto, mancando i presupposti, non è più possibile giustificare l’incasso di queste multe. All’epoca, l’obbligo vaccinale e le sanzioni erano una evidente forzatura anche costituzionale, ma oggi perseverare, incassando le multe, sarebbe addirittura incostituzionale, perché mancano le condizioni per derogare alle libertà garantite dalla Costituzione, come quella di scelta delle cure e delle terapie. Di conseguenza, credo che sia assolutamente corretto procedere con la cancellazione di queste multe.

Per chi invece le ha già pagate?

A mio avviso, andrebbero annullate anche quelle, per dare finalmente un segnale di pacificazione, ma questo è solo un parere personale.


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