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Senza consumi, niente crescita. La Cina cambia rotta

Dopo anni di politiche campate per aria e poco efficaci, adesso il partito ha finalmente capito che senza una ripresa della domanda interna ogni sforzo per salvare l’economia è vano

Un nuovo libro dei sogni, forse, ma con una consapevolezza in più. E cioè che così non si può andare avanti. L’undicesima Conferenza economica internazionale cinese, i cui contenuti sono stati anticipati la scorsa settimana da Formiche.net, si è conclusa con una presa di coscienza non scontata: se non ripartiranno i consumi la Cina rimarrà spacciata. Non male per un governo che fino a pochi giorni fa era convinto che la ripresa dell’economia passasse solo per le decine di miliardi immesse nel sistema bancario, ignorando che senza domanda non c’è crescita che tenga.

E così, alla fine di quattro giorni di dibattito dentro e fuori il partito, Pechino ha definito il corso della politica economica per il prossimo anno. I leader del partito comunista, riuniti per la annuale Conferenza sulla politica economica, hanno chiarito la necessità di sforzi “vigorosi” per aumentare i consumi interni, da oggi la massima priorità del Paese. In tal senso, emerge dai verbali, le autorità cinesi hanno promesso di stimolare la domanda interna “in tutte le direzioni” e di mettere a punto altre “azioni speciali”.

Non è finita. Il presidente Xi Jinping e gli alti dirigenti del partito comunista si sono inoltre impegnati ad aumentare il deficit fiscale cinese e anche ad emettere bond di lunghissimo termine per finanziare proprio la ripresa dei consumi. Quanto alla politica monetaria, i leader cinesi hanno confermato che resterà fortemente espansiva, per combattere la piaga della deflazione, ma non sono state date indicazioni precise circa un nuovo taglio dei tassi e la riduzione delle riserve delle banche che, si afferma, avverrà “al momento opportuno”.

Tornando ai consumi, la presa di coscienza ha una chiara matrice strategica, poiché la carenza di domanda interna da parte dei cittadini e delle imprese ha lasciato la Cina particolarmente esposta all’andamento delle esportazioni. Una dipendenza che oggi viene considerata un elemento di fragilità, alla luce dei nuovi dazi minacciati dal presidente eletto Donald Trump. Non a caso, il rapporto conclusivo della Conferenza “si trova ad affrontare un impatto negativo sempre più grave a causa del cambiamento dell’ambiente esterno” e che “l’economia deve ancora affrontare molte difficoltà e sfide”.


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