Donald Trump invita Xi Jinping alla sua inaugurazione. Il cinese aveva in mano due carte: esserci per cercare “open dialogue”, ma correre il rischio di sembrare uno dei vari invitati, oppure inviare qualcuno per gestire i primi contatti. Pare abbia scelto la seconda
Aggiornamento delle 17:49. Secondo quanto riportato da CBS News, Xi Jinping non parteciperà alla cerimonia di insediamento di Donald Trump, nonostante l’invito personale ricevuto dal presidente eletto. L’assenza del leader cinese, rappresentato invece dall’ambasciatore a Washington, arriva in un momento di tensioni nelle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Cina.
****
La politica transazionale con cui Donald Trump intende probabilmente approcciarsi alla Cina inizia con il messaggio inviato al leader cinese cinese, Xi Jinping, invitato a partecipare all’Inauguration del 20 gennaio. Xi è tra i tanti leader internazionali che il presidente eletto statunitense vorrebbe alla cerimonia di inaugurazione del suo secondo mandato, ma il suo è il nome che brilla nella lista. L’invito è un segno formale di distensione che indica soprattutto come Trump voglia gestire in modo diretto quella che è di fatto la competizione strategica totale che segna i nostri tempi. Un segnale, dopo che negli anni dell’amministrazione Biden i rapporti Usa-Cina avevano toccato minimi storici — con una sostanziale interruzione delle comunicazioni, poi recuperata proprio tramite un incontro tra leader a San Francisco, circa due anni fa. Quanto accade non significa che tale competizione sta finendo, ma che può avere dei guardrail, che per esempio la Cina inquadra sotto quella che chiama la “visione di San Francisco”.
“Open dialogue” lo definisce Karoline Leavit, nome che la stampa internazionale dovrà abituarsi a conoscere perché sarà con ogni probabilità lei a guidare le comunicazioni della prossima presidenza. “L’abbiamo visto nel suo primo mandato. Ha ricevuto molte critiche per questo, ma ha portato alla pace in tutto il mondo. È disposto a parlare con chiunque e metterà sempre al primo posto gli interessi dell’America”, ha detto Leavitt a Fox News calcando su due vettori strategici della comunicazione di Trump: il ruolo da portatore di pace e quello da protettore degli interessi americani.
Ça va sans dire che un‘apertura del genere fatta dai democratici sarebbe stata contestata dai repubblicani, soprattutto dai falchi anti-Cina di cui Trump si sta circondando — e forse lo stesso presidente eletto avrebbe accusato i rivali di essere troppo deboli con Pechino, come già fatto più volte in altre occasioni. Leavitt dà un’altra importante informazione: la presenza di Xi è ancora “tbd”, to be determined, dunque da definire. Vari media americani hanno contatto l’ambasciata cinese a Washington — che dovrebbe gestire un viaggio che se ci sarà dovrebbe già essere in preparazione — ma non hanno ricevuto risposte. È chiaro che Trump si è messo in una posizione di vantaggio: se Xi non verrà, potrà addossare sulla Cina le colpe della mancanza di dialogo; se verrà sarà tra coloro ospitati per guardare l’incoronazione trumpiana. Comunque sia è una posizione di apparente debolezza (o quanto meno in grado di poter essere così raccontata).
L’invito arriva mentre Pechino si sta preparando per una probabile escalation nella guerra commerciale che Trump ha lanciato contro la Cina nel 2018. C’è già la minaccia di imporre una tariffa del 60 per cento sulle importazioni cinesi, che sarebbe un grande aumento rispetto ai prelievi che ha imposto sulle merci del Paese nel suo primo mandato. L’aspetto commerciale è però solo parte della competizione che vede Trump entrare in carica con le relazioni nella maggiore fase di sofferenza dal 1979 a oggi.
Gli Stati Uniti sono preoccupati per l’attività militare cinese intorno a Taiwan (in questi giorni le manovre marittime ordinate da Pechino hanno raggiunto, di nuovo, un livello senza precedenti) e per la continuazione delle azioni coercitive verso Paesi come le Filippine nell’Indo-Pacifico (gli americani hanno un accordo di difesa reciproca con Manila). La Cina a sua volta accusa gli Stati Uniti di intromettersi nei suoi affari interni, proprio riguardo a Taiwan, ed è infuriata con le misure di export control statunitense (perché sono progettate per rendere più difficile per l’esercito cinese utilizzare la tecnologia americana per modernizzarsi).
Se questo è lo scenario corrente, al di là dell’invito, quello futuro non promette eccessive distensioni. Trump ha scelto diversi funzionari noti per le politica anti-Cina per servire in ruoli di massima sicurezza nazionale. Per esempio, ha annunciato la nomina del senatore Marco Rubio, il cui ingresso in Cina è stato bannato dal Congresso, come segretario di Stato e intende nominare Mike Waltz legislatore ed ex berretto verde noto per essere un falco anti-cinese, alla guida del National Security Council della Casa Bianca. Anche per questo l’invito all’Inauguration può essere spiazzante per la Cina, che da mesi cerca di capire come sarà strutturato questo secondo mandato di Trump nei rapporti con Pechino.
Probabilmente Xi non accetterà di andare in persona, ma potrebbe inviare una delegazione guidata da un alto funzionario come il vicepresidente Han Zheng. Uomo di fiducia, Han potrebbe avere il compito di gestire il primo faccia a faccia con l’amministrazione Trump-2. Da quello, per Pechino, dipenderà molto della relazione futura.