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È l’Ucraina la spinta per l’allargamento europeo ai Balcani. Parla Carteny

“Belgrado e Podgorica? Hanno posizioni differenti, ma da queste posizioni continuano ad avere un’importante partnership e una importante sintonia con la Russia. Il Kosovo? La de-escalation che si è tentato di fare in questo periodo è stata un punto fondamentale, ma nuove situazioni di avvio di risoluzione potrebbero giungere da progetti di cooperazione regionale”. Conversazione con il docente della Sapienza

La necessità di avere un rafforzamento dell’allargamento europeo ai Balcani occidentali è data anche dal fatto che l’Ue in questo momento cerca di stringere le fila nei confronti di una spaccatura del fronte sull’Ucraina. Lo dice a Formiche.net Andrea Carteny, professore associato di Storia Moderna e Storia delle Relazioni Internazionali, e di Storia dell’Europa dell’Est presso la Sapienza Università di Roma, che dopo il summit Ue-Balcani fa una radiografia dei Paesi interessati, anche in considerazione degli aspetti commerciali e più locali.

Come giungere all’allargamento dell’Ue ai Balcani occidentali?

La necessità di avere un rafforzamento dell’allargamento è data anche dal fatto l’Unione europea in questo momento storico cerchi di stringere le fila di fronte alla guerra in Ucraina. Sui rapporti con Mosca abbiamo, ad esempio, a Belgrado e Podgorica governi con posizioni ed esponenti talvolta dialoganti, che richiamano importanti e storiche sintonie con la Russia. Il rilancio sull’adesione comunitaria e sulla piena integrazione dei Paesi della regione va, infatti, nella direzione di un impegno per l’integrazione economica e per la stabilizzazione della cooperazione regionale da far valere in maniera più incisiva nel confronto con Mosca. Anche queste posizioni naturalmente possono avere differenti declinazioni a livello della stessa Unione europea, dove sappiamo bene che alcuni Paesi, come l’Ungheria (e in parte la Slovacchia), evidenziano posizioni differenti: e Budapest in questo contesto coltiva un asse con Belgrado particolarmente favorevole, condividendo un approccio di appeasement e di comprensione per le posizioni russe.

La situazione in Kosovo come potrà essere gestita in questa fase?

Sul fronte kosovaro ci possiamo aspettare un’azione di intelligenza per mantenere basso il livello dello scontro, anche soprattutto in funzione del fatto che l’integrazione comunitaria per Pristina e per Belgrado è vitale (e forse questo vale più per il Kosovo che per la Serbia). L’impegno di Bruxelles rimane ancorato al fatto che i due Paesi possano procedere insieme nel processo di integrazione europea, per mantenere la leva dell’integrazione comunitaria di fronte alle ricorrenti tensioni che caratterizzano i rapporti tra i due governi. Questo tipo di processo avrà comunque un percorso complesso – ispirato alla coesistenza tra le due Germanie nel periodo della guerra fredda – e si concentra sulla soluzione di una serie di questioni che sembrano non centrali ma sono importanti per la normalizzazione delle relazioni economiche e politiche tra i due Paesi. In questo senso, come le pressioni per una distensione tra serbi e kosovari hanno giocato un ruolo fondamentale nel fermare l’escalation durante l’ultima crisi lo scorso anno, così il rilancio di progetti condivisi di cooperazione regionale può facilitare il dialogo tra le parti.

L’economia come clava diplomatica, dunque?

L’Unione europea sta cercando di far valere la carta economica per distendere le tensioni a livello regionale. Naturalmente questa azione è da considerare all’interno di un contesto caratterizzato da molteplici variabili sono tante: spesso le azioni a livello locale non sempre son riferibili a posizioni e indirizzi di politiche nazionali dei governi. Ciò crea naturalmente una serie di ulteriori possibilità e opportunità per coloro che favoriscono l’escalation delle crisi locali, in un’agenda complessa dettata da azioni di informazione/disinformazione nonché di mobilitazione nazionalistica che governi, come quello russo, per la difesa dei propri interessi giocano anche a livello locale. Ne abbiamo visto alcuni effetti in Serbia, in Montenegro, o anche in Bosnia-Erzegovina. Anche per questo motivo uno dei punti chiave del summit è stato, insieme all’impegno nel combattere le minacce ibride, proprio il sostegno economico per quei settori colpiti dalle conseguenze della guerra in Ucraina e dal rafforzamento della politica di embargo a scapito di Mosca, insieme con un forte sostegno alla crescita e allo sviluppo di un mercato regionale comune più facilmente integrabile con quello comunitario.

Quali Paesi sono pronti all’adesione?

Molto dipende dagli orientamenti dei governi. Abbiamo visto in questi anni in Georgia, per esempio, un esecutivo dichiaratamente favorevole al processo di adesione europea, salvo poi prendere posizioni politiche e approvare provvedimenti legislativi decisamente contrari ai valori europei. Anche in Turchia, nonostante il governo Ankara dal fallito golpe del 2016 abbia intrapreso decisamente una deriva autoritaria, il presidente Erdogan ha poche ore fa ribadito l’adesione all’Ue come priorità strategica del proprio Paese. Tra il “dichiarare”, il “volere” e il “potere” realizzare l’adesione all’Ue ogni governo gioca le proprie carte, in primis a livello di consenso nazionale. In questo contesto sarebbe importante, ad esempio, per il Montenegro procedere realmente alla chiusura di nuovi capitoli negoziali per avvicinarsi all’obiettivo dell’adesione nel 2028, per la Macedonia del Nord superare l’ostilità riemergente da parte bulgara, per l’Albania accelerare l’efficientizzazione del sistema statale e la lotta alla corruzione. In generale le richieste europee si confermano nell’impegnare i governi a garantire effettiva libertà di stampa, reale uguaglianza dei cittadini senza distinzioni etno-linguistiche, religiose o di orientamento sessuale, affidabilità nel controllo delle frontiere e nella gestione della pressione migratoria.

E la Bosnia-Erzegovina?

Sarajevo si presenta con un background particolarmente delicato, essendo ancora lontana dal rappresentare un governo capace di efficacia ed efficienza statuale. Nonostante le tante criticità, però, il procedere sulla strada dell’adesione gioca un ruolo talmente importante per la stabilità del Paese che l’Ue in primavera ha in principio riconosciuto lo status di Paese candidato alla Bosnia. Visto il nuovo contesto di conflitti e crisi internazionali, dall’Ucraina al vicino oriente, l’Ue può in qualche modo riguadagnare spazio politico-internazionale nel ruolo di superpotenza per la stabilità e la sicurezza regionale, al fianco (ma anche al posto) della Nato in zone dove il legame atlantico risulterebbe controverso e particolarmente divisivo.


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