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Accordi di Abramo, stabilità e nuova classe dirigente per Gaza. Parla Fassino

È positivo essere arrivati a una tregua. Ora la priorità è che le parti si impegnino davvero ad applicare integralmente l’accordo e il più tempestivamente possibile. Vanno ripresi gli Accordi di Abramo, considerando la prospettiva della costruzione dello Stato Palestinese. Serve una nuova classe dirigente, in Israele e all’Anp. Conversazione con Piero Fassino, vicepresidente della Commissione Difesa alla Camera

“È certo positivo essere arrivati a una tregua, dopo oltre quindici mesi di terribile conflitto. Ora la priorità è che le parti non ci ripensino, approvino l’accordo e sopratutto ne applichino i punti il più tempestivamente possibile”. Piero Fassino, presidente della Commissione per il Medio Oriente del Consiglio d’Europa e deputato del Pd, fra i più lucidi analisti delle dinamiche internazionali, nella sua intervista a Formiche.net conserva un approccio pragmatico. Cautamente ottimista ma molto prudente.

Quali sono i suoi timori?

La storia del Medio Oriente ci insegna che molte delle lacerazioni a cui abbiamo assistito sono state provocate da una mancata applicazione di accordi sottoscritti, ma poi rimasti sulla carta. Per questo è fondamentale che le parti si impegnino a dare piena applicazione all’accordo. A quel punto, si può sperare nell’apertura di una nuova fase.

Sulla base di quali presupposti?

In questi giorni il rischio da evitare sono ripensamenti da parte degli attori coinvolti. Da parte degli oltranzisti della destra israeliana ci sono pesanti pressioni su Netanyahu per impedire l’applicazione della tregua. E anche settori di Hamas contestano la prospettiva di un accordo con Israele.

A Gaza cosa succederà?

Se l’obiettivo deve essere due popoli e due Stati, occorre costruire le condizioni affinché ciò avvenga. E dobbiamo essere consapevoli che il conflitto ha scavato un solco profondo di odio, rancore, sfiducia. Perché si possa avere una pace condivisa e duratura occorre ricostruire almeno un minimo di reciproca affidabilità. Insomma c’è tanto da lavorare e bisogna cominciare subito.

Da parte israeliana o da parte palestinese?

Le criticità ci sono in entrambi i fronti. Netanyahu non ha mai accettato la nascita di uno Stato palestinese. Ma pace e convivenza tra due Stati richiedono una leadership israeliana che ci creda e sull’altro fronte serve un profondo rinnovamento dell’Anp, oggi fortemente indebolita e con un grado molto basso di consenso tra la popolazione. Per questo è molto importante un impegno forte della comunità internazionale per accompagnare le parti nella applicazione dell’accordo e nella ricostruzione di un percorso di dialogo. E in questo contesto un punto essenziale è una amministrazione di Gaza sicura e internazionalmente garantita.

Realmente che ruolo hanno avuto gli Stati Uniti in questa trattativa?

Un ruolo dirimente. Biden ha lavorato tantissimo per impedire che l’escalation assumesse una portata ancora più vasta e per arrivare a un accordo. La presenza costante di Blinken è stata preziosa.

A questo punto è ragionevole immaginare di riprendere le trattative per allargare gli Accordi di Abramo?

È necessario, includendo esplicitamente l’obiettivo della nascita dello Stato Palestinese in condizioni di sicurezza per Israele. Sappiamo che una delle ragioni per cui Hamas ha perpetrato il massacro del 7 ottobre è stata proprio impedire un accordo tra Israele e l’Arabia Saudita sulla scia degli Accordi di Abramo. E oggi ancor di più è decisivo il contributo che può dare l’Arabia Saudita ad una soluzione di pace.

Quale potrebbe essere l’influenza di Bin Salman in quel contesto?

L’Arabia Saudita è un player fondamentale per la pace e per equilibri del Medio Oriente. È il paese leader del mondo sunnita, ha forti legami con gli Stati Uniti e ha guardato con favore al processo approdato negli Accordi di Abramo. Al mondo arabo, per ristabilire equilibrio nella regione, serve un leader forte. Bin Salman può svolgere il ruolo che ebbe nel ‘77 il presidente egiziano Sadat nello stabilire, dopo ben quattro guerre, rapporti non più antagonistici tra Egitto e Israele.


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