Tre destini a marzo per la legge sull’autonomia differenziata. La via per uscirne è stretta quanto la cruna di un ago e Meloni ha una opportunità per riscattarsi. Deve fare appello a tutti i suoi fratelli d’Italia perché votino per l’Italia e non per le regioni, lo stesso dovrebbe fare Forza Italia. L’analisi di Francesco Sisci
La legge dell’autonomia differenziata ha tre destini per marzo (quando dovrebbero tenersi i referendum abrogativi), tutti funesti, e la via per uscirne è stretta quanto la cruna di un ago. La prima possibilità è che il referendum venga cassato dalla corte di Cassazione. Sarebbe una ferita alla democrazia e all’istituto referendario. La corte dovrebbe mantenere la legge per come è diventata, un accrocco che da una spinta ideale alla Lega e alle ambizioni delle singole regioni, ma limitando il loro ricorso a una finanza propria.
Così facendo si opporrebbe ai firmatari del referendum e aizzerebbe la protesta accollandosi responsabilità che invece sono della maggioranza di governo. Lo scontro si infiammerebbe. Forse è la soluzione peggiore. La seconda possibilità è che il referendum abbia successo e la legge venga abrogata. Oltre il 50% degli aventi diritti va a votare e boccia sonoramente la legge. Sarebbe un colpo per il governo ma non necessariamente la sua fine. Si aprirebbe un periodo di grande incertezza dove la maggioranza di governo è debole, ma l’opposizione non necessariamente è pronta a vincere.
La terza possibilità è che il referendum fallisca. Coloro che vanno alle urne non raggiungono il quorum, il 50% degli aventi diritto al voto, e la legge è automaticamente confermata. Sarebbe una vittoria ideale e politica della Lega nelle sue spinte più radicali, rappresentata in questo caso da forze al governo in Lombardia, Veneto e Friuli. L’importanza simbolica di una Lega secessionista per l’Italia del nord avrebbe conseguenze enormi. E qui c’è da guardare al mio volumetto Tramonto Italiano.
Se il Veneto flirta con il secessionismo cosa fa la Germania? Sarebbe un problema se lo appoggia, perché incoraggerebbe spinte secessioniste in tutta Europa e anche al suo interno, ma anche se non lo appoggia, perché il Veneto è integrato nella sua catena produttiva. Alla fine degli anni ’80 ci fu un’accelerazione che portò alla spaccatura della Jugoslavia con la fine della guerra fredda, negli anni ’90. L’Europa non riuscì a intervenire da sola, per le sue troppe divisioni interne, e chiese invece l’intervento americano, che non aveva invece alcuna ragione strategica per farlo se non cercare di impedire che le divisioni in Jugoslavia si trasformassero in una nuova guerra pan europea.
Oggi in maniera simile le spinte centrifughe italiane si inseriscono in una combinazione di forze esterne, una seconda guerra fredda e lo scontro con la Russia, che potrebbe spingere l’Europa oltre il limite. Se l’Italia iniziasse davvero a accelerare forze centrifughe, con una vittoria della Lega al referendum, l’Europa si troverebbe sotto uno stress molto maggiore rispetto a quello della Jugoslavia, e senza l’attenzione e l’aiuto degli Stati Uniti a intervenire come negli anni ’90, perché ci sono due guerre, in Ucraina e Medio Oriente, e la questione della Cina che richiedono il suo pieno impegno.
Se l’Italia iniziasse a cadere a pezzi, sarebbe un’enorme opportunità per il presidente russo Vladimir Putin per ottenere migliori condizioni dagli Stati Uniti: un accordo rapido (anche se infame) in cambio della pace in Europa, per evitare che l’Ue si disintegri a cominciare dalla scintilla italiana. Oppure in America potrebbe anche esserci l’idea che, dopo tutto, affrontare un solo Putin sia meglio che gestire 28 paesi riottosi e irrequieti, alcuni dei quali piuttosto insignificanti.
In questo modo, l’eredità della vittoria della Guerra Fredda, con la grande pace pan europea, verrebbe del tutto sprecata e ci sarebbe in giro un grande zar forse più pericoloso di Stalin. Dopo, ogni cosa diventa confusa. Accordarsi con Putin più potente che mai contro Cina e Iran o il contrario? E poi? Le ipotesi conseguenti sono tutte apocalittiche. Forse non è un caso che la Lega, sostenitrice della legge sull’autonomia differenziata sia anche il partito con rapporti più stretti con Putin. A questo punto la soluzione meno dolorosa e con un minore impatto internazionale è la due – la vittoria del referendum abrogativo. Converrebbe anche al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, meglio prendere un colpo al governo che restare con il cerino in mano di una frattura e uno scontro pan europeo.
Meloni ha poi una opportunità per riscattarsi. Deve fare appello a tutti i suoi fratelli d’Italia perché votino per l’Italia e non per le regioni, lo stesso dovrebbe fare Forza Italia. Una vittoria contro la Lega per l’Italia creerebbe una specie di nuovo “arco costituzionale” che potrebbe dare davvero un aiuto importante al paese, all’Europa e all’America nel prossimo futuro.
Bisogna affrettarsi. In primavera scadono 380 miliardi di buoni del Tesoro. Una situazione delicata farebbe impennare i tassi di interesse. Già oggi il Paese è in fibrillazione. Il 4 gennaio Repubblica ha dedicato la prima pagina a una nuova ricostruzione dei giudici dell’assassinio di Piersanti Mattarella, fratello del Presidente Sergio. Non è chiaro cosa significhi questa enfasi su questa ricostruzione ma di certo si coinvolge in qualche modo il Presidente della Repubblica aprendo la possibilità di uno scontro di tutti contro tutti. Occorre cercare di essere freddi e arretrare dal ciglio del burrone prima di cadere.