La Costituzione non può essere trascinata nel dibattito politico a uso e consumo delle parti. Si tratta di una linea invalicabile, rafforzata da questo orientamento della Consulta sull’Autonomia differenziata. Peraltro, il combinato disposto tra la sentenza di dicembre – nella quale la Consulta muoveva alcuni rilievi al legislatore – e questa dichiarazione di inammissibilità in qualche modo ripristina un clima di serenità costituzionale entro i perimetri del quale, ora, il Parlamento potrà muoversi con maggiore agibilità. Colloquio con il costituzionalista Alessandro Sterpa
Il verdetto della Consulta parla chiaro. Ma, se vogliamo, ancor più chiaro è il commento che ne dà il costituzionalista dell’Università della Tuscia, Alessandro Sterpa, sulle colonne di Formiche.net. Ovviamente, il riferimento è alla dichiarazione di inammissibilità – da parte appunto della Corte Costituzionale – del referendum abrogativo legato all’Autonomia differenziata. Nello specifico, la Corte ha rilevato che “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”. Tradotto, dice Sterpa, “è uno schiaffo in faccia a chi brandisce la Costituzione e ne vuole fare uno strumento di lotta politica”.
Professore, si aspettava questo orientamento della Consulta?
Direi di sì. Ma ciò che rilevo – al di là della prima evidenza del pronunciamento che dichiara inammissibile il referendum – è che la Corte ribadisce chiaramente un concetto da cui trasversalmente la politica non può prescindere.
E quale sarebbe il principio?
Che la Costituzione non può essere trascinata nel dibattito politico a uso e consumo delle parti. Si tratta di una linea invalicabile, rafforzata da questo orientamento sull’Autonomia differenziata. Peraltro, il combinato disposto tra la sentenza di dicembre – nella quale la Consulta muoveva alcuni rilievi al legislatore – e questa dichiarazione di inammissibilità in qualche modo ripristina un clima di serenità costituzionale entro i perimetri del quale, ora, il Parlamento si potrà muovere con maggiore agibilità.
Quindi, di fatto, con questa dichiarazione di inammissibilità del referendum, si conferma che la legge sull’Autonomia differenziata è in linea con la Costituzione?
Sì. O meglio, la Corte stabilisce che non è ammissibile l’idea che su una disposizione costituzionale il popolo, attraverso l’escamotage del referendum abrogativo, possa tenerla congelata o inapplicata. Tutta la Costituzione ha la dignità di essere attuata. Il valore aggiunto di questa decisione è quello di uscire da una logica perversa, troppo a lungo perpetrata. L’auspicio è che si possa finalmente capire che la Costituzione non può essere sottoposta a iniziative plebiscitarie di parte.
Ma non c’è il rischio, come sostiene qualcuno, che questa legge (posto che dovrà essere rivista dal Parlamento) spacchi il Paese a metà?
La Consulta ci dice l’esatto contrario. Leggendo in filigrana questa decisione, lo si capisce molto bene: il rischio di spaccare il Paese lo si sarebbe corso con il referendum non con l’applicazione della legge.
Questa decisione della Consulta viene presa in un momento in cui mancano ancora quattro giudici costituzionali da designare in seno al Parlamento.
Se vogliamo questo è un ulteriore elemento che conferma – come ha sostenuto il presidente Augusto Barbera – la capacità della Corte Costituzionale di assumere delle decisioni collegiali nell’esclusivo interesse della Nazione e della Costituzione.
L’inammissibilità del referendum sull’Autonomia rafforza la linea dell’esecutivo?
Per la verità non direi che rafforza le linea dell’esecutivo, piuttosto toglie un elemento di unità alle forze di opposizione che su questo tema avevano scommesso.
Gli altri quesiti referendari, a partire da quello sul Jobs Act, sono stati ammessi. Come se lo spiega?
Per la verità è molto semplice. Gli altri referendum non mettono in discussione una previsione costituzionale ma eccepiscono in che modo attuare la Costituzione. Per cui, siamo su piani completamente differenti. Dunque è ragionevole che gli altri quesiti siano stati dichiarati ammissibili.