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Terzo Mandato, perché De Luca rischia una bocciatura. Parla Viceconte

La Regione Campania ha legiferato partendo dal principio che il vincolo sul terzo mandato non fosse auto-applicativo. Sul modello del Veneto. Tuttavia, l’avvocatura dello Stato rileva che nel 2009 la Campania stessa aveva fatto una legge elettorale nella quale, in un articolo, viene espressamente detto che vengono applicate tutte le leggi vigenti. La Regione deve declinare il principio, non negarlo. Ecco perché è molto probabile che la Corte “bocci” la legge De Luca. Intervista a Nicola Viceconte, docente di Diritto pubblico all’Università della Tuscia

“Non abbiate paura degli elettori. Aprite il cuore alla speranza”. Il ghigno è tra il beffardo e lo sfidante. Nella sua ultima uscita pubblica, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, si presenta così. Come è. L’avvocatura dello Stato ha impugnato le legge regionale attraverso la quale il governatore vorrebbe creare le condizioni per svolgere un terzo mandato. La questione, oltre che politica, è eminentemente giuridica. In sostanza “De Luca ha promosso una legge regionale, tentando di eludere un principio generale che si applica in tutti gli altri territori”. A spiegarlo, sulle colonne di Formiche.net, è Nicola Viceconte, docente di Diritto pubblico all’Università della Tuscia.

Professore, qual è la tesi sulla quale si incardina l’impugnazione dell’avvocatura dello Stato?

La Regione Campania ha legiferato partendo dal principio che il vincolo sul terzo mandato non fosse auto-applicativo. Sul modello del Veneto. Tuttavia, l’avvocatura dello Stato rileva che nel 2009, la Campania stessa aveva fatto una legge elettorale nella quale – in un articolo – viene espressamente detto che vengono applicate tutte le leggi vigenti. Dunque, anche la legge del 2004 nella quale viene sancito il vincolo dei mandati.

Qualora, davvero, il vincolo non fosse auto-applicativo la linea De Luca reggerebbe in filo di diritto?

No. Perché anche qualora non fosse auto-applicativo, sarebbe comunque vigente in Campania in quanto non solo presente nell’ordinamento ma recepito attraverso la dicitura inserita nella legge del 2009. Non solo: il principio contenuto nella legge quadro è di vent’anni fa. Non è ammissibile, a maggior ragione dopo un lasso temporale così elevato, opporsi a una legge dello Stato.

Alla luce di queste considerazioni, in che misura la Regione può esercitare la sua potestà legislativa in materia elettorale?

Lo Stato, nel 2004 ha posto un principio fondamentale: le regioni devono prevedere che ci sia un limite ai mandati. Nel farlo, hanno un margine, di qui il rinvio alla legge regionale. La Regione, ad esempio, può stabilire che ne basta solo uno. Oppure, può stabilire che il presidente possa fare due mandati, purché completi. Ma, nella sostanza, non si può disapplicare il principio generale. Tanto più che si tratta di una competenza esclusiva dello Stato. 

E qui nasce il problema dell’ineleggibilità. 

Per la verità, funziona più come una causa di incandidabilità piuttosto che di ineleggibilità. Ma il principio alla base della legislazione in questo senso – ribadito, su un’altra materia, anche dalla Corte Costituzionale – è quello di evitare la cristallizzazione del potere. E la norma regionale della Campania si pone in aperto conflitto con questo indirizzo.

Dunque la sentenza della Corte è pressoché scontata?

Nulla lo è. Tuttavia, secondo me la Corte Costituzionale dichiarerà illegittima la legge campana perché tende a eludere un principio generale che si applica a tutte le altre Regioni. 

Questo ricorso, all’interno dell’Esecutivo, ha generato un problema politico. 

Onestamente penso che il vero problema politico, oltre che giuridico, potrebbe essere generato qualora la Corte non si opponesse alla legge campana. Circostanza, quest’ultima, che comunque ritengo assai improbabile. Lo “spazio” della Regione è di declinare il principio, non di negarlo.


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