Sia a Orvieto, sia a Milano si sono inseguiti i soliti temi, con i soliti argomenti tutti declinati senza originalità. Il leitmotiv sottotraccia è stato quello della “crisi della democrazia”. Che è un modo ampolloso per tirare la palla in tribuna e non riflettere sulla natura dei problemi. I centristi non fanno danno a Schlein, anche perché sono disconnessi rispetto ai bisogni e alle discussioni del Paese reale. Anche Tajani&co possono dormire sonni tranquilli. Conversazione con Marco Valbruzzi, docente di Scienza politica all’università Federico II di Napoli
Un nulla di fatto. Nonostante la pompa magna con cui sono stati lanciati entrambi gli appuntamenti centristi – uno a Orvieto e l’altro a Milano – sono stati “molto rumore per nulla”. È una bocciatura netta per entrambe le iniziative quella che arriva da Marco Valbruzzi, docente di Scienza politica all’università Federico II di Napoli, sulle colonne di Formiche.net.
Professor Valbruzzi, un weekend denso per i movimenti al Centro. Cosa è emerso, al di là degli intenti, tra Orvieto e Milano?
Molto rumore per nulla. E può calare così il sipario su un weekend con un po’ di movimento ma senza rendimento. Invece, sarebbe stato utile vedere qualche pentimento: tra Orvieto e Milano c’erano sale gremite di figli e figliastri della Terza Via, delle cui idee e ricette siamo ancora qui oggi a contare i danni, e non solo sul piano nazionale.
Quali le differenze tra i due incontri?
In termini di contenuti, le differenze sono minime. Ovviamente, erano diversi gli organizzatori: un’associazione più strutturata a Orvieto (LibertàEguale) e un vago rassemblement di “cattolici adulti” a Milano. Ma nella sostanza non c’era differenza. Anzi, in entrambi i casi si sono inseguiti i soliti temi, con i soliti argomenti tutti declinati senza originalità. Il leitmotiv sottotraccia è stato quello della “crisi della democrazia”. Che è un modo ampolloso per tirare la palla in tribuna e non riflettere sulla natura dei problemi. Ma poi è davvero in crisi l’ideale democratico? In questo modo mi pare si stia fornendo un assist non richiesto ai nemici veri dei regimi democratici.
Castagnetti esorta la segretaria del Pd Schlein ad “aprire” il partito…
È curioso che siano proprio i cattolici-riformisti-moderati a chiedere a Schlein di “aprire” il partito. Proprio loro che sono stati i sacerdoti del “partito aperto”, estroverso, leggero e così via con altre sciocchezze. Potremmo dire che il Pd soffre, fin dell’origine, di troppa apertura: tanto aperto da essere irriconoscibile. Ed è anche curioso che siano sempre alcuni dei fondatori del Pd a lamentare l’assenza di confronto interno al partito. Per avere confronto, servono luoghi, sedi, regole, arene dove questo confronto possa esercitarsi. Anche su questo fronte sarebbe stato utile vedere una qualche forma di pentimento, diciamo un ravvedimento operoso.
Ma secondo lei queste iniziative centriste per la segretaria sono una risorsa o una potenziale insidia?
Né l’uno né l’altro. Non fanno danno a Schlein, anche perché mi paiono totalmente disconnesse rispetto ai bisogni e alle discussioni del Paese reale. Basti vedere il modo in cui, soprattutto a Milano, si è discusso, dall’alto di un riformismo illuminato che in realtà non illumina nulla, del fenomeno dell’astensionismo. Se pensano di affrontare la questione dell’astensione con la ricetta Ruffini, con qualche formuletta di rito, campa cavallo.
È inevitabile che queste due riunioni abbiano in qualche misura fatto alzare le antenne anche a destra. Potrebbe esserci un’erosione del consenso anche tra Forza Italia o Noi moderati?
Lo escludo nella maniera più categorica possibile. Finché nel centrosinistra prevale questo caos di iniziative senza capo né coda, Tajani & Co. possono dormire sogni tranquilli. Anzi, possono addirittura iniziare a guardare con maggiore interesse agli smottamenti elettorali nella Lega, che Salvini non riesce più a contenere, soprattutto al Nord. Non saranno praterie, ma ci sono comunque margini di crescita per i moderati di centrodestra.
Tabacci sostiene che Ruffini, nel suo intervento abbia parlato a un elettorato esterno a quello del Pd. Ma realisticamente, questo tipo di offerta politica declinata in queste iniziative, può risultare attrattiva per una larga fetta di elettorato che si è rifugiata nell’astensionismo?
Anche qui è utile essere categorici. I due convegni erano pieni di componenti, diciamo così per brevità, “iper-politiche”, strapiene di formule, cliché, retoriche anche un po’ attempate. Al contrario, il mondo dell’astensione è fatto, per lo più, di componenti “anti-politiche” e al limite “contro-politiche”, che esercitano il non-voto proprio come reazione a una politica che parla senza dire nulla. Gli iper-politici e gli anti-politici sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai.
Posto che ancora non è chiaro in che cosa sfoceranno queste iniziative, ha senso nello scenario attuale immaginare una figura come quella del federatore di forze tanto eterogenee?
Mi perdoni se sono ripetitivo, ma ancora una volta devo essere categorico. La risposta è no. La discussione sul “federatore” (ma poi: tra chi, tra che cosa?) è l’esempio perfetto di quello che intendevo per atteggiamento “iper-politico” o, se vogliamo, politichese. Si pensi che qualcuno a Orvieto ha addirittura riesumato la discussione sul “trattino” del centro-sinistra! Come si possa pensare di convincere gli astensionisti con questi temi e questi approcci, per me resta un mistero della fede. E in quanto tale lo lascio ai cattolici di Orvieto e Milano.
In termini di proposte politiche, al di là della nomenclatura, una forza politica che si collochi comunque al centro anche del centrosinistra, su cosa deve puntare per essere se non altro credibile e non la brutta copia di qualcosa che già è stato?
Tutto dipenderà da che cosa vuole essere e fare il Pd. Finché resterà un partito buono per tutte le stagioni, senza un’anima (cioè un’identità), i movimenti al centro mi paiono più un modo per farsi notare e contare che non una solida, vera iniziativa politica. Non è un caso infatti che tutti questi movimenti siano promossi da personaggi che sono già transitati, con tutti gli incarichi del caso, all’interno del Pd (Renzi, Calenda, Delrio, Tonini, Castagnetti, Morando ecc.). Pensare che possano portare una diversa rappresentanza nel campo del centrosinistra mi pare soltanto un pio desiderio. Se invece il Pd decidesse di riscoprire davvero, e non a parole, la sua identità laburista o socialista, allora i giochi si riaprirebbero anche per i moderati del centrosinistra. A quel punto, però, servirebbe davvero un federatore: non del centrosinistra ma dell’arcipelago dei “centrini”, a tutt’oggi con troppi padrini e senza un padre.
“Padrini”, “padre”… declina tutto al maschile.
Si è mai chiesto quante sono le donne coinvolte in queste discussioni sul centro? Nei due convegni di Milano e Orvieto erano una assoluta minoranza, quasi impercettibile, a cui toccavano per lo più ruoli da moderatrici, per passare la parola a colleghi uomini. E pensare invece che se c’è oggi un elettorato “mobile”, disponibile a sostenere percorsi di uguaglianza e modernizzazione, è proprio quello femminile: più colto, più aperto, meno spaventato sul futuro di quello maschile.