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Gaza, Trump determinante per la tregua. Ora tocca all’Ue. Perché secondo Lovatt

Per Hugh Lovatt, Senior Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr), come dimostrato da questo accordo di tregua su Gaza, l’amministrazione Trump entrante è l’unico attore con sufficiente leva per spingere Israele a fare i compromessi necessari. Senza affrontare le cause profonde del conflitto e coinvolgere tutti gli attori chiave in un processo politico inclusivo, il rischio è di perdere un’altra opportunità per la pace in Medio Oriente

È la notizia che domina le dinamiche internazionali: ieri a Doha, è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza. Ora questo primo passo, per quanto cruciale, dovrà ora essere sostenuto da un percorso politico praticabile che garantisca una pace duratura, le cui condizioni non sono state ancora stabilite, come fa notare su queste colonne l’imam Yahya Pallavicini.

L’accordo, mediato da Qatar, Egitto e Stati Uniti, dovrebbe entrare in vigore entro il fine settimana. Seguendo le informazioni diffuse in questi ultimi giorni, quando le discussioni sulla tregua avevano avuto una svolta concreta, la prima fase prevede il rilascio di 33 ostaggi israeliani e il ritiro delle truppe israeliane dalle aree popolate della Striscia. L’obiettivo finale dovrebbe essere invece la ricostruzione di Gaza e la fine completa dell’assedio israeliano.

Qui, come ricordato dal vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, Paolo Formentini, avrà un grande peso il rinvigorimento degli Accordi di Abramo, l’intesa per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni Paesi arabi – che fondamentali per mantenere gli equilibri nella tregua e poi nella ricostruzione. Anche i governi europei potranno giocare un ruolo importante nel plasmare i prossimi passi, collaborando con l’amministrazione Trump entrante e i partner regionali. Resta un alto rischio che il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, rallenti l’implementazione dell’intesa dopo la prima fase o acceleri l’annessione di territori in Cisgiordania per placare i suoi alleati di maggioranza. Allo stesso tempo, Hamas è un’organizzazione colpevole di terrorismo e dunque non completamente affidabile. L’instabilità resta.

“Molti israeliani accusano Netanyahu di aver deliberatamente ostacolato i colloqui di cessate il fuoco in passato per evitare una crisi politica con i suoi partner di coalizione di estrema destra, ma negli ultimi mesi, il governo israeliano e Hamas hanno subito una crescente pressione per porre fine ai combattimenti”, ricorda Hugh Lovatt, Senior Policy Fellow dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr).

“Il tributo umanitario a Gaza e la decisione di Hezbollah di siglare un accordo di cessate il fuoco separato con Israele a novembre hanno reso Hamas più flessibile sugli accordi di transizione. Tuttavia, ciò che sembra essere stato decisivo è la pressione dell’amministrazione Trump entrante su Netanyahu affinché accettasse l’accordo”.

Il ruolo dell’Autorità Palestinese e dell’Europa

“Il successo di qualsiasi piano di stabilizzazione per Gaza – spiega l’esperto – dipenderà dal ritorno di un’Autorità Palestinese (AP) rivitalizzata. Sarà necessario il sostegno del gruppo islamista, il che sarà complicato dalla crescente impopolarità interna dell’AP, dalla sua fragilità finanziaria e dall’aumento dell’autoritarismo”.

Hamas, pur indebolito dai mesi di combattimenti, continuerà a esercitare influenza sul futuro di Gaza. La sua smobilitazione completa appare improbabile finché persiste l’occupazione israeliana: nei giorni scorsi, è stato lo stesso segretario di Stato, Antony Blinken, a sottolineare che secondo le informazioni di intelligence statunitensi, il gruppo terroristico palestinese ha già recuperato tanti uomini quanti ne ha persi durante i combattimenti. Tuttavia, un’apertura internazionale verso un percorso politico per la statualità palestinese potrebbe incentivare Hamas ad adottare un approccio più politico.

Per Lovatt, un maggiore sostegno europeo agli sforzi di riconciliazione palestinese e pressioni sull’AP per ripristinare il tessuto democratico della Palestina saranno cruciali per invertire questa situazione. “Data la mancanza di fiducia tra le parti, Gaza richiederà probabilmente una forza internazionale di mantenimento della pace per monitorare l’implementazione dell’accordo di cessate il fuoco, la possibile smobilitazione di Hamas e sostenere gli sforzi di de-conflicting. Gli Stati arabi hanno indicato che potrebbero sostenere questa idea, purché sia accompagnata da un percorso politico verso l’autodeterminazione palestinese”.

Una visione politica sostenibile?

Un cessate il fuoco senza progressi politici significativi verso la fine dell’occupazione israeliana si rivelerebbe insostenibile? “Un nuovo percorso politico richiederà una strategia europea di peace-making che impari dai fallimenti del processo di pace di Oslo. Sebbene si tratti di uno sforzo diplomatico a lungo termine, gli europei dovranno trovare modi immediati per dimostrare il loro sostegno a uno Stato palestinese sovrano: incluso il riconoscimento dello Stato di Palestina sui confini del 1967 e il divieto del commercio con gli insediamenti israeliani”, risponde.

Il ruolo dell’Arabia Saudita sarà fondamentale, gli europei dovrebbero puntare a formare un partenariato strategico con Riad per influenzare i governi statunitense e israeliano? “Al centro di questa collaborazione dovrebbe esserci il ‘Piano di Visione Araba’ del 2024, che offre a Israele piena integrazione regionale in cambio del ritorno di un’AP riformata a Gaza e dell’implementazione della soluzione a due stati. Nonostante il piano sia stato in gran parte ignorato dall’amministrazione Biden, necessita di un nuovo slancio con l’arrivo della squadra di Trump”.

Per Lovatt, come dimostrato da questo accordo, l’amministrazione Trump entrante è l’unico attore con sufficiente leva per spingere Israele a fare i compromessi necessari. Per tale ragione, “lavorando insieme, Stati europei e arabi dovrebbero convincere Trump che porre fine al conflitto israelo-palestinese, consentendo piena autodeterminazione e indipendenza palestinese, rimane l’unico percorso per la normalizzazione saudita con Israele”.

In definitiva, sembra che l’accordo di cessate il fuoco offra una tregua necessaria ma fragile. Senza un impegno reale per risolvere le cause profonde del conflitto e senza il coinvolgimento di tutti gli attori regionali e internazionali in un percorso politico inclusivo, “rischia di rimanere un’altra occasione mancata per la pace in Medio Oriente”, chiosa l’esperto del think tank paneuropeo.

(Foto: X, @netanyahu)


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