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Così l’Europa può fronteggiare il rischio di una policrisi. L’analisi di Paganetto

La via maestra per l’Ue è quella di assicurare nel privato e nel pubblico gli investimenti necessari per stare al passo, attraverso l’innovazione, del cambiamento in atto. È così che, in un mondo sempre più interdipendente, potremo fronteggiare la sfida rappresentata dal rischio di una poli-crisi. L’analisi di Luigi Paganetto

Il mondo di oggi si confronta con una difficile crisi geopolitica, che si accompagna a una transizione demografica e tecnologica, nella quale ambiente e contrasto al cambiamento climatico sono gli impegni di fondo necessari per realizzare uno sviluppo sostenibile. Una proposta per l’Europa non può che partire da questo contesto e chiedersi come affrontare le sfide che ne sono la conseguenza. L’Europa ha un’agenda fondata, per il prossimo quinquennio, su recupero di competitività, riduzione delle dipendenze in materia di energia e risorse strategiche, impegno sulla transizione digitale ed energetica, progressi sulla difesa comune.

Ed è un’agenda assai impegnativa che si potrà, però, realizzare solo se l’Europa, nel prendere atto che il mondo è cambiato, assumerà il ruolo che la sua storia e le sue tradizioni le consentono. Tanto più perché é l’area del mondo che ha assunto con più determinazione e coerenza la scelta a favore della sostenibilità dello sviluppo, riassumibile nel diritto per tutti alla salute e all’istruzione, nella lotta contro le disuguaglianze, la povertà e la fame, nonché nell’esercizio delle azioni necessarie a favore di clima, ambiente e parità di genere.

Trasmettere alle generazioni future un pianeta non deteriorato è un impegno da tutti adottato. È però assai poco realizzato, a dispetto degli impegnativi obiettivi degli Accordi di Parigi del 2015 (e successivi) su transizione energetica ,clima e riscaldamento globale, dei millenium goals dell’Undp (United Nations Development Programme), nonché dell’intervento della Chiesa con l’enciclica di Papa Francesco Laudato sì. La transizione energetica ed ecologica è un tema complesso tanto più dopo la crisi che ha accompagnato il Covid-19, prima e la guerra in Ucraina, che si è incaricata di ricordare a tutti, cittadini e Governi, la centralità dell’energia, della sua disponibilità e della sicurezza del suo approvvigionamento.

La disponibilità di energia è una precondizione per lo sviluppo e per la stessa qualità della vita. Le grandi differenze nella disponibilità di risorse fossili spingono i paesi ad atteggiamenti assai differenti in materia di energia. Per la Russia petrolio e gas rappresentano una delle principali fonti di introiti per il suo bilancio. Gli Usa sono il maggiore produttore al mondo di petrolio con 19 milioni di barili al giorno. Il petrolio è anche la maggior fonte per i consumi di energia del Paese. Scott Bessent, designato segretario al Tesoro da Trump, parla di un aumento della produzione giornaliera di petrolio di 3 milioni di barili al giorno, per fronteggiare il deficit, con l’idea sottostante di una sostanziale neutralità nell’uso delle diverse fonti di energia.

La Cina è il Paese che ha la maggior percentuale, il 69%, di uso del carbone nella produzione di energia. Anche per questo ha il primato delle emissioni di CO2, 12 milioni di tonnellate anno seguita dagli Usa con 4,9 milioni. Ma è anche il Paese che, preso atto dell’intollerabile livello di inquinamento prodotto dalla CO2 emessa, ha installato oltre la metà di tutta la nuova potenza solare ed eolica del mondo; in particolare: il 50% di solare, il 60% di eolico onshore e il 70% di quello offshore. L’Europa (con l’eccezione della Norvegia) è povera di risorse fossili. Al 2020 importava il 58% del suo fabbisogno di energia, il 24,4%, quello proveniente dalla Russia. Dopo la crisi energetica del 2022 seguita alla guerra in Ucraina ha differenziato ie aree di provenienza dei suoi approvvigionamenti, ma è rimasta inalterata la sua dipendenza dall’estero.

La scelta della transizione energetica e dell’uscita dall’energia fossile ci ha consegnato un impegno imprescindibile ma anche una trasformazione colossale, quella energetica, che coinvolge sia l’attività produttiva, che la vita delle famiglie e avrebbe bisogno di un impegno lungimirante della politica, che si deve far carico di trasferire ai cittadini il giudizio concorde degli scienziati, che solo con un mondo a zero emissioni di CO2 consentirà di evitare danni colossali all’ambiente. Ma dovranno essere anche più chiari i tempi e i modi per raggiungere quest’obiettivo per realizzare il consenso necessario alle azioni da mettere in campo. Senza contare che l’abbattimento della CO2 è un problema globale che esige il rispetto, spesso manchevole, da parte di tutti i Paesi degli accordi presi a livello internazionale, da Parigi in poi.

Allo scenario dell’energia si aggiunge quello degli scambi tra le principali aree economiche del mondo che mostra il prevalere di forti squilibri complessivi anche per via delle policy adottate dai principali paesi dl mondo. Dazi e politiche industriali, viste come rimedi agli squilibri commerciali, finiscono per configurare guerre commerciali vere e proprie senza vincitori ne vinti. E rendono problematico fronteggiare i rischi legati alle transizioni in atto .
Anche perché il mondo é sempre più interconnesso nonostante l’evoluzione dei processi di globalizzazione verso una maggior sicurezza degli scambi. E risente delle conseguenze della frammentazione degli scambi e delle guerre commerciali.

Questo quadro complessivo rende realistica la minaccia di una poli-crisi e ci fa guardare, con preoccupazione, al moltiplicatore rappresentato dalla interazione delle diverse crisi tra di loro, a cominciare dal declino demografico che ha effetti su tutto il resto. Le transizioni in atto, a cominciare da quella geopolitica che mette in gioco i rapporti tra le principali aree del mondo, vanno in effetti considerate non solo di per sé stesse, ma anche in funzione della loro reciproca interazione. L’Europa è l’area che sta percorrendo una transizione di lungo periodo che l’ha portata, dai tempi in cui deteneva il primato dell’innovazione finanziaria e tecnologica ad un ritardo nell’adozione dell’high -tech.

Ed è però pur sempre il continente che con la cultura, le invenzioni, le scoperte, le grandi esplorazioni geografiche ha, per un verso, influenzato e per un altro verso si è sempre connesso con il resto del mondo. Da questo punto che occorre cominciare. Dalla capacità dell’Europa di progettare se stessa e dalla sua attitudine ad interagire con gli altri in termini propositivi. Oggi, a ragione delle crisi in atto, siamo in una transizione verso un “nuovo ordine internazionale”.

Ed è in questo contesto che l’Europa può ritrovare la sua missione richiamando la sua storia e la sua tradizione e ponendo la questione della correzione degli squilibri mondiali che si sono accentuati nel post globalizzazione. Ed è vero che l’Europa non è una federazione e la sua azione ha i limiti che nascono dall’essere un’Unione i cui gli Stati mantengono la loro sovranità. Ma è anche vero che l’agenda impegnativa che sta a fondamento dell’azione della nuova Commissione richiede per realizzarsi un balzo in avanti che, nel prendere atto che il mondo è cambiato, proponga per se stessa un ruolo globale.

C’è un’esigenza di raccordo tra “blocchi” ormai consolidati di Paesi che non riescono a dialogare che all’interno dei rispettivi blocchi. L’Europa che, non va dimenticato, rappresenta il 55% degli scambi mondiali può giocare un ruolo importante ,forse decisivo nell’assumere un’iniziativa internazionale per questo raccordo sempre che riesca a dotarsi di una politica estera unitaria. Che è peraltro, una priorità perché va tenuto presente che gli squilibri sono accompagnati da una scontentezza che vede unito il sud del mondo ,Cina e Russia e che potrebbe facilmente trasformarsi in disordine globale.

Dell’iniziativa, l’Europa potrebbe essere non solo uno dei beneficiari, ma anche l’area del mondo che per storia e tradizioni dispone della “moral suasion” necessaria per quest’azione che potrebbe portare i partecipanti ad un tavolo di trattative su posizione più vicine all’Occidente di quelle di oggi, anche sulla guerra in Ucraina. Occorre tener presente che dopo le tre crisi, quella finanziaria del 2008, quella del Covid 19, l’invasione russa dell’Ucraina siamo in un mondo “multipolare” diviso in “blocchi “ politico-commerciali, dunque multipolare, molto differente da quello della “guerra fredda”.

C’è un’area asiatica in grande espansione non solo economica (metà della popolazione e quasi il 30% del pil mondiale) ma anche in termini di Istituzioni finanziarie e accordi di scambio. C’è un’aggregazione di paesi, quella del Brics, che intende sviluppare una sua azione anche attraverso istituzioni rappresentative. Dal punto di vista strettamente politico, le risoluzioni dell’Onu per la guerra Russo-Ucraina e per la condanna dell’aggressione di Hamas mostrano che ci sono una cinquantina di paesi che hanno deciso di non seguire gli Stati Uniti e l’Unione Europea ma di assumere posizioni autonome.
Occorre prenderne atto e intervenire per ridurne l’insoddisfazione .

Ed è cruciale il tema dell’energia così come lo sono quello demografico e quello del contrasto al cambiamento climatico. Basta pensare che i paesi sviluppati vedranno aumentare i loro consumi di energia a dispetto della diminuzione delle loro popolazione mentre i paesi africani dove si collochera’ di qui al 2050 il 90% dell’aumento della popolazione mondiale soffrono di una insufficienza di infrastrutture energetiche ,anche per l’inadeguatezza degli investimenti di Banca mondiale. Allo stesso tempo sono assai squilibrati tra paesi sviluppati ed emergenti i costi-benefici degli interventi per il controllo delle emissioni di Co2.

L’Europa a sua volta soffre di un rallentamento di crescita e produttività che richiede, un deciso intervento per la sua ricollocazione nel quadro competitivo internazionale. La riduzione dei vantaggi nei rapporti di scambio tra prodotti energetici, minerali e manufatti sin qui goduti vede non a caso il maggior paese la Germania in crisi. Ne risentono in generale i paesi dell’eurozona che rischiano di non poter sostenere il proprio welfare costoso soggetto anche ai gravami dell’invecchiamento della popolazione. Populismo e nazionalismo ne sono le conseguenze.

Ecco perché un dialogo a tutto campo su questi temi è necessario ed è nell’interesse dell’Europa. Ma anche degli Usa cui mal si attaglia, a lungo andare, una politica di dazi e restrizioni agli scambi. Potrebbe modificare gli atteggiamenti che oggi determinano il favore della Cina e del sud del mondo verso la Russia. Ne stanno a fondamento squilibri (come quello a favore del dollaro ) e disuguaglianze ,all’interno dei paesi (e tra di essi ) che hanno accompagnato la globalizzazione degli anni della crescita. Perciò che non dovrebbe mancare una discussione sulla riforma dell’ordine economico internazionale che riguardi non solo le regole ma anche le Istituzioni di Bretton Woods.

Prima che le tensioni in giro per il mondo prendano una strada diversa da quella del tavolo negoziale. Fronteggiare la crisi geopolitica che domina la scena, tenendo conto delle transizioni in atto, da quella demografica a quella tecnologica, mentre si interviene per difendere l’ambiente e contrastare il cambiamento climatico, è una scelta necessaria anche se non espressamente definita, forse anche perché appare difficile da intraprendere. Ma ciò che è più importante è che non si può fare sviluppo in un contesto in cui non si affermino principi di inclusione e equità sociale.

Il Nobel Phelps (2022) ci ricorda il fenomeno che si manifesta nelle nostre economie, quelle occidentali, dove sono importanti, ormai da decenni, i costi sociali legati al ridursi della crescita della produttività totale e dell’innovazione, a cominciare da salari stagnanti, insoddisfazione per le insufficienti opportunità offerte a chi lavora, al di là degli aspetti pecuniari delle retribuzioni. È per questo che abbiamo bisogno di una società più inclusiva e dinamica che assicuri spazio alla creatività e all’innovazione necessarie ad una good life e allo sviluppo. L’innovazione, intesa come capacità di sperimentare e trovare nuove opportunità, è un motore che muove non solo l’economia, ma l’intera macchina sociale e, diversamente da quel che spesso si afferma, è la condizione per evitare le disuguaglianze piuttosto che produrne di nuove.

Non si deve pensare che la scelta a favore dell’innovazione favorisca la creazione di ineguaglianze perché, semmai, è vero il contrario, perché, rimette in moto l’ascensore sociale. Ed è l’insufficienza d’innovazione che determina l’aumento delle disuguaglianze per la mancanza di nuove opportunità e, di adeguato sviluppo. La verità è che maggiore inclusione e minori disuguaglianze sociali sono praticabili con l’aumento della produttività totale. Quest’ultima, risente dell’impegno sulla formazione, che ha un’importanza decisiva in un mondo che sta sperimentando un momento di straordinario cambiamento tecnologico.

Fenomeni di ampia portata, come la polarizzazione delle nel manifatturiero, avvenuta con la globalizzazione, indicano l’esigenza di una formazione continua, capace di rispondere al cambiamento tecnologico che esige competenze più elevate rispetto a quelle intermedie richieste fino a ieri nelle fabbriche. Ma molto di più c’è da aspettarsi nell’epoca del digitale e dell’Intelligenza Artificiale. Il ritardo dell’Europa in questi due settori, negli investimenti in Ict e Intelligenza Artificiale, si fa sentire sulle competenze, ma anche sulla capacità di creare buona occupazione, crescita del Pil e capacità di finanziare un welfare sempre più oneroso a ragione dell’invecchiamento della popolazione.

Ed è chiaro a tutti che non è il continuo aumento del debito pubblico la via maestra per finanziare le crescenti esigenze dello Stato sociale. Ed è altrettanto chiaro che ciò è vero anche per l’investimento su scuola e formazione, essenziale per far sì che nel mondo del lavoro prevalgano inclusione ed equità sociale. La via maestra è quella di assicurare nel privato e nel pubblico gli investimenti necessari per stare al passo, attraverso l’innovazione, al cambiamento in atto. È così che, in un mondo sempre più interdipendente, potremo fronteggiare la sfida rappresentata dal rischio di una poli-crisi. Per farlo dovremo impegnarci a realizzare le transizioni necessarie a vincere questa sfida e quella dello sviluppo sostenibile.


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