Intervenendo alla cerimonia di insediamento del generale Giovanni Iannucci come nuovo comandante del Covi, il ministro della Difesa e il capo di Stato maggiore hanno delineato le sfide future per le Forze armate, tra modernizzazione e adeguamento ai nuovi scenari futuri. Crosetto non esclude di inviare degli osservatori in Ucraina, mentre Portolano avverte: “Dobbiamo esser pronti per i conflitti che potremmo dover affrontare”
La Difesa italiana deve mettersi nelle condizioni di poter far fronte a qualunque sfida, inclusi veri e propri conflitti. Questo è quanto ha affermato il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano, in occasione dell’insediamento del generale Giovanni Iannucci alla guida del Comando operativo di vertice interforze (Covi), l’organismo responsabile per il coordinamento e la pianificazione delle attività delle Forze armate. Iannucci succede al generale Francesco Paolo Figliuolo, recentemente nominato vice direttore dell’Agenzia per le informazioni e la sicurezza esterna (Aise).
Secondo Portolano “oggi, più che mai, il Covi rappresenta una realtà di rilevanza strategica per la Difesa e per la sicurezza dell’Italia”. Il panorama in cui si muove la Difesa nazionale sta cambiando rapidamente, con l’emergere di minacce ibride in tutti i domini. “Gli effetti”, prosegue Portolano “si manifestano nell’ambiente fisico terrestre, marittimo, aereo e spaziale, ma anche e prevalentemente sia nella dimensione virtuale, ossia quella del dominio cibernetico e dello spettro elettromagnetico, sia nella dimensione cognitiva, cioè quella delle Infops, Psyops, dell’influenza strategica, dell’influenza dell’informazione e della comunicazione strategica”.
Perché le Forze armate siano in grado di prepararsi e rispondere a un così ampio ventaglio di eventualità, è necessario che la Difesa adotti nuovi paradigmi, non solo sul piano della pianificazione strategica, ma anche su quello dell’addestramento. Come fa notare il capo di Stato maggiore, “le attività addestrative costituiscono la ‘via maestra’ per prepararci, per testare, sia in fase di pianificazione che di condotta, le conoscenze, le procedure e le capacità dello strumento militare, concedendosi anche il lusso di sbagliare. Lusso che nessuno di noi può e potrà mai permettersi in operazioni di qualsiasi tipo o entità”.
Capacità all’avanguardia dunque, ma per quali possibili impieghi operativi? Sicuramente il mantenimento e il potenziamento delle 19 operazioni e delle 18 missioni internazionali in cui sono attualmente impegnate le Forze armate italiane, nonché attività futuribili a breve termine, come l’intervento umanitario a Gaza e l’eventuale addestramento delle Forze di sicurezza palestinesi. Su quest’ultima possibilità è intervenuto anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, il quale ha affermato: “Abbiamo fatto tutte le valutazioni logistiche del caso. Abbiamo già mandato alcune persone per capire come potrebbero lavorare. Il tema però è che lo faremo quando saremo certi della loro sicurezza e di essere graditi da tutti gli interlocutori che ci sono nel campo. Non andremo mai a Gerico, non andremo mai in Palestina solo su richiesta di un grande Paese occidentale”, ha poi sottolineato il ministro, “ci andremo quando sapremo che saremo accettati dagli israeliani, da tutti i palestinesi, da tutte le forze in campo”.
Tuttavia, come ha evidenziato il generale Portolano, la prima esigenza rimane la preparazione nei confronti dell’inatteso e anche dell’inaugurabile. “Dobbiamo prepararci”, avverte il capo di Stato maggiore, “dobbiamo esser pronti per i conflitti che potremmo dover affrontare. Dobbiamo essere pronti a fronteggiare ciò che nessuno di noi vorrebbe mai accadesse, anche il coinvolgimento in una guerra”.
L’Italia, così come il resto d’Europa, si trova dinanzi a un profondo mutamento dei paradigmi militari globali, il quale appena pochi anni fa era impensabile. Dopo decenni di operazioni mirate e chirurgiche in contesti di intensità mai superiore al livello medio, la guerra d’Ucraina ha dimostrato non solo che i conflitti sono ancora possibili, ma anche che quelli futuribili saranno molto diversi da quelli recenti, sia sul piano tattico sia su quello strategico. Due elementi in particolare saranno determinanti nei prossimi anni: massa e tecnologie dirompenti. Il grado di preparazione dei dispositivi militari nazionali si valuterà nella misura in cui questi riusciranno non solo ad adottare le innovazioni, ma anche a contestualizzarne l’impiego in una cornice multi-dominio che, inevitabilmente, necessiterà di essere adattata a numeri finora non considerati, dalla dimensione dell’organico umano e non umano (i droni) al munizionamento. In questo percorso verso l’adeguamento delle capacità ai nuovi contesti operativi, il Covi svolgerà la funzione cruciale di tradurre in realtà le lezioni apprese dall’Ucraina e dagli altri scenari di conflitto.
E proprio sull’importanza di osservare, capire e tradurre gli eventi si è soffermato il ministro della Difesa, il quale ha parlato della possibilità di inviare degli osservatori militari in Ucraina. Secondo il ministro sarebbe utile “mandare ufficiali e persone a capire cosa è successo, come si è combattuto, quali sono state le lezioni che possono apprendere le nostre forze armate per imparare da ciò che è successo lì”. “Se fosse possibile farlo in sicurezza e dopo l’autorizzazione parlamentare”, ha precisato Crosetto, “penso sarebbe utilissimo per la nostra Difesa”.