Quasi 100 miliardi il costo complessivo che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere per la perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030 se la perdita dovesse rimanere quella di 2 metri quadrati al secondo registrati nel 2020. Ecco cosa dice l’ultimo rapporto dell’Ispra
È compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro il costo complessivo che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere per la perdita dei servizi ecosistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030 se la perdita dovesse rimanere quella di 2 metri quadrati al secondo registrati nel 2020. E non sarebbero soltanto danni economici. Nell’ultimo decennio il suolo non ha potuto garantire la fornitura di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana e lo stoccaggio di quasi 3 milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di machine in più circolanti nello stesso periodo per più di 90 miliardi di chilometri, due milioni di volte il giro della terra. Le colate di cemento non rallentano neanche nel 2020, nonostante il blocco di molte attività dovuto al lockdown e ricoprono quasi 60 chilometri quadrati, ormai oltre il 7% del territorio nazionale: ogni italiano ha a disposizione circa 360 metri quadrati di cemento (erano 160 negli anni ’50).
Ed è questo il quadro che emerge dal Rapporto Consumo di suolo in Italia, elaborato dal Sistema nazionale per la protezione dell’Ambiente e presentato in occasione della Giornata mondiale del suolo, che aveva per tema Prendersi cura del suolo: misurare, monitorare, gestire. “Non puoi gestire ciò che non puoi misurare”, ha detto per l’occasione QU Dongyu, direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), “A livello globale 1,6 miliardi di ettari di terra sono degradati a causa dell’attività umana, con oltre il 60 per cento di questo danno che si verifica su terreni coltivati e pascoli”.
E non se la passa meglio neanche il Vecchio Continente. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente “almeno il 63% dei suoli dell’Ue sono in cattiva salute”. Tra le principali minacce, “la perdita di carbonio organico, l’erosione, la compattazione, l’inquinamento, la salinizzazione e la perdita di biodiversità”, con evidenti rischi per la sicurezza alimentare, la qualità dell’acqua e la salute umana. Fattori, questi, che incidono sulla riduzione della fertilità dei suoli e sulle falde idriche. Viene mostrato “uno stato e tendenze allarmanti, con il degrado del suolo che è peggiorato notevolmente negli ultimi anni”, sottolineando la necessità di un’azione immediata per invertire questa tendenza.
Occorre dare attuazione alla Strategia europea per il suolo 2030, adottata nel 2021, “Raccogliere i benefici di suoli sani per le persone, il cibo, la natura e il clima”, che definisce le misure per proteggere, ripristinare lo stato dei suoli degradati e garantire che siano utilizzati in modo sostenibile. Una strategia che si collega alle diverse politiche europee già adottate nel quadro del Green Deal, come quella sulla biodiversità; sui cambiamenti climatici; sull’uso delle sostanze chimiche; per le foreste; sul Pacchetto “Fit for 55” e sulla politica agricola comune.
Gli obiettivi principali, si legge in una nota, “includono l’intensificazione degli sforzi per combattere la crescente minaccia della desertificazione e per raggiungere la neutralità del degrado del suolo entro il 2030”, con obiettivi di ripristino e miglioramento delle attività di monitoraggio per proteggere la fertilità del suolo e ridurne l’erosione e l’impermeabilizzazione, per proteggere e migliorare la biodiversità, per ridurre il tasso di occupazione e dell’espansione urbana incontrollata, per giungere “all’aumento netto pari a zero del consumo del suolo entro il 2050”.
Ma cosa significa in termini economici, sociali e ambientali il consumo di suolo, questo “strato della crosta terrestre costituito da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e organismo viventi” e che rappresenta “l’interfaccia tra terra, aria e acqua” e che ospita gran parte della biosfera? E’ una risorsa vitale, limitata e non rinnovabile.
Costituisce “la base essenziale” dell’economia, della società e dell’ambiente in quanto “produce alimenti, accresce la nostra resilienza ai cambiamenti climatici, agli eventi meteorologici estremi, alla siccità e alle inondazioni e favorisce il nostro benessere”. Le “funzioni ecologiche” di un suolo di buona qualità si manifestano attraverso la fornitura di “servizi ecosistemici” di approvvigionamento (prodotti alimentari e materie prime), di regolazione del clima , sequestro e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e regolazione della fertilità, della qualità delle acque, protezione e mitigazione dei fenomeni idrogeologici estremi, conservazione della biodiversità. E ancora, servizi ricreatici e culturali, fruizione del paesaggio e del patrimonio naturale.
Il suo consumo è legato alle “dinamiche insediative e infrastrutturali”, dovuto prevalentemente alla costruzione di nuovi edifici, fabbricati e insediamenti, all’espansione delle città. Ed è definito come “la variazione in determinato periodo di tempo da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato), distinguendo il consumo di suolo permanente e il consumo di suolo reversibile”. Secondo Coldiretti, negli ultimi cinquant’anni l’Italia ha perso quasi il 30% dei terreni agricoli a causa della cementificazione e dell’abbandono, una perdita che ha causato un deficit produttivo del Paese, aumentando la dipendenza agroalimentare dall’estero.
Per questo è necessario che l’Italia difenda il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile. “Occorre però accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo che giace da anni in Parlamento e che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”. A livello territoriale il rapporto Ispra stima che in 15 regioni il suolo consumato al 2023 supera la soglia del 5%. I valori più elevati rimangono quelli della Lombardia (12,19%), del Veneto (11,86%) e della Campania (10,57%); seguono Emilia-Romagna, Puglia, Lazio. Friuli-Venezia Giulia e Liguria con valori sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e il 9%. La Valle d’Aosta è la regione con la percentuale più bassa (2,16%). Naturalmente, ricorda il rapporto, “va considerata sia la diversa morfologia regionale sia la storica e peculiare evoluzione del territorio nell’interpretare la rilevanza dei valori riscontrati”.
Ravenna e Roma sono i Comuni che hanno consumato più suolo nell’ultimo anno. Ravenna incrementa la sua superficie consumata di altri 89 ettari, con diverse trasformazioni nella zona del porto e per l’ampliamento della SS16 Adriatica. Roma aumenta di 71 ettari per l’avvio di nuove cave, la costruzione di un polo commerciale sulla Via Pontina. Anche il Comune di Alessandria ha incrementato l’occupazione di suolo di 62 ettari per la realizzazione di due grandi poli logistici, uno dei quali dedicato all’e-commerce.
Anche Reggio Emilia ha incrementato la superficie consumata di 42 ettari per la realizzazione della SS9 e per i lavori di riqualificazione del parco della Reggia Ducale di Rivalta. Ed è comunque il Comune di Uta, poco meno di 9 mila abitanti, nell’Area metropolitana di Cagliari, ad aver avuto il maggior incremento annuale di suolo consumato con 106 ettari, crescita dovuta all’installazione di impianti fotovoltaici a terra concentrati nella zona industriale.
La buona notizia arriva dal Ministero dell’Ambiente. Prima di Natale, il Ministro Pichetto Fratin ha firmato un decreto che fissa i criteri di ripartizione di un fondo da 160 milioni di euro per il contrasto al consumo di suolo. Le risorse, spiega una nota del ministero, serviranno alla programmazione e al finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado, in ambito urbano e periurbano. Viene, inoltre semplificata la modalità di programmazione degli interventi, attraverso la stipula di accordi di programma tra le direzioni regionali e la direzione del MASE competente in materia di consumo di suolo.