In cima alle priorità del G7 per il 2025, l’Iran non è solo una minaccia alla stabilità mediorientale, ma ha ormai sviluppato capacità per avvicinarsi alla creazione di una bomba nucleare. Il dossier è già nello Studio Ovale, e sarà per Trump una prima sfida, tra continue pressioni, possibili negoziati, complicate azioni militari
Il 2025 si preannuncia come un anno decisivo per il dossier nucleare iraniano. Con Donald Trump che tra pochi giorni tornerà operativo nello Studio Ovale, il suo team dovrà decidere rapidamente come affrontare l’accelerazione del programma atomico iraniano. Ieri Teheran ha condotto un test di difesa aerea sopra Natanz, nell’ambito di esercitazioni militari a livello nazionale focalizzate sulla difesa aerea vicino all’impianto di arricchimento nucleare. Sempre ieri, il ministero degli Esteri iraniano ha respinto l’affermazione del presidente francese Emmanuel Macron secondo cui l’Iran rappresenta la principale minaccia alla sicurezza in Medio Oriente. Macron, lunedì, ha dichiarato che l’Iran stava accelerando il suo programma nucleare, che l’Occidente sospetta sia volto a produrre una bomba nucleare.
L’ex presidente avrà di fronte un bivio: cercare di contenere la minaccia attraverso negoziati e pressioni o prendere in considerazione un’azione militare. Secondo fonti statunitensi, europee e israeliane, la crisi iraniana sarà una delle prime emergenze del nuovo mandato. Ci sono segnali contraddittori e un contesto critico: l’Iran è considerato il nemico esistenziale da Israele da sempre, ma ora lo Stato ebraico potrebbe essere pronto a una resa dei conti che risolva il problema alla radice. Molto di quanto succederà dipenderà dall’approccio di Trump, che “è restio a coinvolgersi in avventure, ma incline a premere sull’Iran”, come ha scritto (sempre ieri) Giampiero Massolo.
Il team di Trump sta valutando una serie di opzioni per gestire la minaccia iraniana. Il Wall Street Journal ha riportato che tra queste possibilità ci sarebbero anche attacchi aerei contro le infrastrutture nucleari iraniane, un’opzione che, se realizzata, potrebbe innescare una reazione su scala regionale.
Israele, da parte sua, sta seriamente considerando la possibilità di colpire autonomamente gli impianti nucleari iraniani. Dopo un incontro tra il ministro israeliano degli Affari Strategici, Ron Dermer, e Trump a Mar-a-Lago, alcune fonti hanno riferito anche ad Axios che l’ex presidente potrebbe supportare un attacco israeliano o addirittura ordinare un intervento diretto degli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, alcuni consiglieri dell’amministrazione Biden avrebbero discusso nelle scorse settimane la possibilità di attaccare i siti nucleari iraniani prima del passaggio di consegne. Tuttavia, a due settimane dal cambio di presidenza, non sembrano esserci piani operativi in fase avanzata.
La decisione di Trump nel 2018 di ritirarsi dall’accordo sul nucleare iraniano (noto con l’acronimo inglese Jcpoa) ha portato Teheran ad espandere rapidamente il suo programma, portandolo a un livello tale che oggi l’Iran è considerato uno stato soglia nucleare. L’uranio arricchito accumulato da Teheran permetterebbe la produzione di materiale fissile per un’arma atomica in pochi giorni, riducendo i margini di manovra diplomatici e strategici.
Nonostante le voci su una possibile azione militare, alcuni esperti invitano alla cautela. Josh Rogin, star-columnist di affari esteri per il Washington Post, ha ricordato che Trump ha respinto per tre volte le richieste dei suoi consiglieri di attaccare l’Iran, sottolineando che l’ex presidente non vuole arrivare a un’azione militare e che lo farebbe solo come ultima opzione. Secondo Rogin, non bisogna reagire eccessivamente a ogni dichiarazione proveniente dall’entourage trumpiano, perché spesso si tratta di speculazioni senza reali implicazioni operative.
Parallelamente al rischio di un’escalation militare, si mantiene però aperta la possibilità di un ritorno ai negoziati. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha dichiarato a una rete televisiva cinese (Pechino fa parte del sistema “5+1” che ha firmato il Jcpoa) che Teheran è disposta a riprendere i colloqui con gli Stati Uniti e le altre potenze globali per definire un nuovo accordo nucleare. Tuttavia, il clima di ostilità tra le due parti rende difficile qualsiasi percorso diplomatico, soprattutto considerando che gli Stati Uniti hanno accusato l’Iran di aver pianificato un attentato contro Trump nel 2024.
Dal punto di vista militare, Teheran continua a rafforzare le proprie capacità difensive. Il portavoce dei Guardiani della Rivoluzione (Irgc) ha dichiarato che la produzione di missili non si è mai interrotta e che i sistemi di difesa aerea iraniani sono completamente operativi e aggiornati. Una fonte che osserva gli sviluppi militari nella regione spiega che “nuove e sconosciute” difese aeree sono state dispiegate nei pressi di obiettivi sensibili, “un’indicazione che l’Iran potrebbe aver implementato nuovi sistemi per proteggere i suoi impianti nucleari da eventuali attacchi, di cui adesso ha maggiore percezione”.
Il dossier iraniano è stato identificato come la principale questione geopolitica del 2025 anche dai leader del G7. Un alto diplomatico a conoscenza dei dossier sul tavolo fa sapere che tutti i membri concordano sulla necessità di agire rapidamente, altrimenti la crisi rischia di esplodere. Oltre alla riduzione dei tempi di breakout nucleare dell’Iran, la pressione diplomatica è aumentata dal fatto che, a ottobre, scadrà la possibilità per gli Stati Uniti e i loro alleati europei di reimporre automaticamente sanzioni all’Iran secondo il meccanismo di snapback previsto dall’accordo del 2015. Questo ridurrà drasticamente la leva economica su Teheran, rendendo i primi mesi del 2025 cruciali per trovare una soluzione.
I negoziati tra Iran e il cosiddetto “E3” (Francia, Germania e Regno Unito) sono ripresi a novembre scorso a Ginevra e dovrebbero proseguire con un nuovo incontro il 13 gennaio. I diplomatici europei hanno chiarito che il precedente accordo sul nucleare non è più valido e che un nuovo patto dovrà riflettere il livello attuale di sviluppo del programma iraniano. Se entro l’estate non si raggiungerà un’intesa, l’Europa potrebbe reimporre le sanzioni (che gli Usa hanno reimposto già durante il primo mandato di Trump e confermato durante l’amministrazione Biden), ma l’Iran ha già avvertito che in tal caso si ritirerà dal Trattato di Non Proliferazione (Tnp) e interromperà le ispezioni dell’Onu sui suoi impianti nucleari.
Con il ritorno alla Casa Bianca, Trump si troverà con meno strumenti per contenere il programma nucleare iraniano rispetto al 2017 e con meno tempo per decidere. L’equilibrio tra pressioni, diplomazia e la tentazione di un’azione militare definirà le prime mosse del suo nuovo mandato.