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Israele, dopo 15 mesi di guerra, il problema è (sempre più) l’Iran. Il punto con Dentice

L’attività dell’Iran si sta espandendo anche in Cisgiordania, attraverso i contatti terroristici dei Pasdaran. Netanyahu risolverà il problema alla radice? “Rischioso”, spiega Giuseppe Dentice, analista nell’Osservatorio Mediterraneo (OsMed) dell’Istituto per gli Studi Politici S. Pio V, ma serve aspettare Trump

Le trattative a Doha ripartono con il formato multilaterale (composto da Qatar, Egitto, Israele e Usa) che ormai da mesi cerca di negoziare un nuovo accordo per il rilascio degli ostaggi israeliani catturati da Hamas durante l’attacco contro Israele del 7 ottobre 2023. Nell’anniversario del quindicesimo mese di guerra attorno a Israele, il quotidiano turco Daily Sabah fa sapere che il gruppo terroristico sarebbe pronto a rilasciare 34 ostaggi vincolandoli a un cessate il fuoco. Non è ancora chiaro se possano esserci reali progressi nel dossier – a dicembre i qatarini avevano parlato di “momentum” positivo – ma intanto il conflitto attorno a Israele continua a evolversi su più livelli, non ultimo quello che coinvolge gli yemeniti Houthi al sud. Sul fronte nord, gli Stati Uniti confermano che le forze israeliane hanno iniziato a ritirarsi dalla città di confine nel sud del Libano, un segnale di possibile allentamento della tensione tra Israele e Hezbollah. Ma Tel Aviv mette in chiaro che se il gruppo libanese dovesse violare l’intesa, gli scontri riprenderanno.

Al tempo stesso, il fronte interno diventa sempre più complicato, con la sicurezza in Cisgiordania è tornata al centro delle preoccupazioni israeliane dopo l’attacco terroristico vicino a Kedumim. L’attentato, che ha colpito un’area strategica con una dinamica attentamente pianificata, evidenzia che la crescente instabilità dell’area potrebbe collegarsi anche a dinamiche esterne. Hamas e altre cellule terroristiche, sostenute economicamente e militarmente dall’Iran, stanno intensificando le loro operazioni nei territori, in un contesto già segnato dalla fragilità dell’Autorità Palestinese e dalla presenza diffusa di armi – molte delle quali fatti arrivare tramite collegamenti creati dai Pasdaran.

Questo fronte interno rappresenta una sfida diretta per il governo di Benjamin Netanyahu. La sicurezza in Cisgiordania è una questione sensibile per la sua coalizione, che deve bilanciare le richieste dei coloni e delle forze di sicurezza con la necessità di mantenere un controllo militare efficace, senza sovraccaricare le riserve delle Idf. La riduzione delle forze in Cisgiordania, dettata dalle esigenze operative su altri fronti, sta lasciando spazio a nuove minacce, mentre Teheran continua a giocare un ruolo attivo nel fomentare la violenza attraverso il finanziamento di gruppi armati locali. 

Secondo Giuseppe Dentice, analista nell’Osservatorio Mediterraneo (OsMed) dell’Istituto per gli Studi Politici S. Pio V, la Cisgiordania rappresenta oggi uno dei principali fattori di instabilità per Israele. È sempre più militarizzata e il conflitto interno si complica: “La presenza di gruppi armati locali autonomi rende difficile il contenimento della violenza da parte delle forze israeliane”, afferma Dentice.

“La situazione rimane incandescente”, osserva  l’esperto nel quindicesimo punto mensile che fa con Formiche.net sulla guerra regionale mediorientale. Il governo Netanyahu è alle prese con forti pressioni interne da parte delle componenti più radicali della coalizione, che chiedono “maggiori poteri, maggiore autonomia anche decisionale e quindi una sorta di ricatto continuo alla sopravvivenza dello stesso Netanyahu”.

Secondo l’esperto, l’Iran affianca la pressione di Hamas con una propria strategia, accelerando il trasferimento di fondi e armi ai gruppi terroristici attivi in Cisgiordania, spesso attraverso intermediari nei campi profughi. Qui, le Guardie Rivoluzionarie iraniane giocano un ruolo cruciale, contattando direttamente le cellule armate attraverso canali clandestini e social media. 

Il premier Netanyahu potrebbe essere tentato di risolvere il problema alla radice con un’azione militare diretta contro l’Iran. Stando all’analisi di Dentice, questo scenario resta una “possibilità concreta, anche se estremamente rischiosa”.

A livello regionale, la posizione dell’Iran si è progressivamente indebolita. “L’Iran ha accumulato una debolezza crescente in questi mesi”, sottolinea Dentice, spiegando che ciò avviene per una serie di questioni interne (la crisi economica, le insofferenze della popolazione), la pressione internazionale e il ruolo più assertivo di Israele nel contenere le minacce provenienti dal nord, in particolare da Hezbollah – pesantemente colpita nei mesi scorsi. La strategia iraniana di sostenere Hamas e altri gruppi armati nella regione ha trovato difficoltà operative, anche se Teheran continua a fornire armi e finanziamenti a milizie locali attraverso canali clandestini.

Colpire la Repubblica islamica adesso sarebbe più facile, sarebbe in definitiva il momento ideale? Il sostegno di Washington sarebbe determinante in tal senso. Donald Trump, nel suo primo mandato, ha respinto tre volte le richieste dei suoi consiglieri di attaccare l’Iran, sottolineando che non voleva arrivare a un’azione militare se non come ultima opzione. Tuttavia, negli ultimi giorni stanno emergendo nuove informazioni su un possibile cambiamento di approccio da parte dell’ex presidente, che potrebbe prendere in considerazione un sostegno ad azioni offensive contro Teheran. 

Sul piano internazionale, l’imminente insediamento dell’amministrazione Trump rappresenta l’elemento chiave nell’evoluzione del conflitto. “Gli attori regionali e internazionali sono in fibrillazione”, afferma Dentice, aggiungendo che l’approccio dell’amministrazione Trump sarà comunque fortemente sbilanciato a favore di Israele e contro l’Iran. Questo potrebbe acuire le tensioni in Medio Oriente, con un possibile rafforzamento dell’asse israelo-americano e una maggiore pressione su Teheran. 

Secondo l’analista, gli stati del Golfo guardano con cautela a questa evoluzione, temendo che una politica eccessivamente schiacciata sugli interessi israeliani possa creare nuove instabilità nella regione. “Il 20 gennaio – giorno dell’Inauguration di Trump – sarà un momento chiave per comprendere meglio la direzione che prenderà la politica statunitense e il suo impatto sullo scenario mediorientale, alla ricerca di un complicato equilibrio strategico nella regione”, conclude Dentice.


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