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La morte degli stili. Come l’intelligenza artificiale può spingerci verso l’unicità

Ci sarà sempre chi cercherà la propria espressione, utilizzando gli strumenti in modo che gli sembra più congeniale. Così gli stili saranno sempre più ripetibili. Ma forse saranno sempre meno popolati dagli artisti. Il commento di Stefano Monti

C’è una grande parte della popolazione che ritiene che l’intelligenza artificiale possa presto sostituire molte attività che oggi vengono condotte dagli umani. Si tratta di una condizione di certo non impossibile: il rapporto tra esseri umani e tecnologia ha mostrato una certa tendenza alla delega da parte degli esseri umani. Basta comparare il numero di numeri di telefono che prima conoscevamo a memoria con quelli che conosciamo oggi. Esempio banale, ma che in qualche modo proietta una riflessione che rischia di essere sempre estremamente aulica in una dimensione che è più concreta e quotidiana.

Ora, se l’essere umano decide di abdicare ad alcune sue funzioni, è necessario che tenga conto degli effetti che da tale decisione generano. Si prenda il corpo, che è una delle dimensioni che al momento risulta essere meno investita dalla rivoluzione in corso. Ora, sembrerebbe a tutti stupido far fare ad un’intelligenza artificiale gli esercizi di yoga. Così come potrebbe sembrare assurdo che, ad un personal trainer, possa venire in mente che “il riscaldamento prima della sessione di esercizi” possa essere realizzato dall’intelligenza artificiale.

Eppure è ciò che quotidianamente accade con azioni che non riguardano il corpo. Ora, dato che le ricerche sugli esoscheletri vanno avanti ormai da decenni, è pacifico immaginare che non sia lontano il momento in cui piuttosto che andare in palestra, le persone potranno scegliere di acquistare un esoscheletro collegato ad un’intelligenza artificiale che possa insegnare alle persone il movimento giusto da compiere per eseguire un determinato esercizio. Senza addentrarci nell’abisso delle possibili implicazioni, sia sul piano economico e commerciale sia sul piano dei rapporti tra uomo – macchina e intelligenza artificiale, un esoscheletro collegato ad un’intelligenza artificiale che consente di stimolare il corpo e di sviluppare i corretti movimenti da compiere durante un esercizio fisico è un esempio perfetto per mostrare come l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata in altri campi non ingegneristici.

Grazie agli strumenti esterni, una persona verrebbe infatti agevolata, più e meglio di prima, a fare delle azioni che risultavano troppo complesse, o che richiedevano troppo tempo, per poter essere sviluppate. Questo consentirà alla persona di sviluppare una maggiore dimestichezza con una parte di sé.
Alimentare tale parte di sé potrà indurlo, ed è qui che dovrebbe avvenire una sorta di rinnovata scoperta del piacere di essere umani, ad attivare ulteriori cambiamenti: piuttosto che continuare a ripetere degli esercizi-base guidato da una macchina, potrebbe sentirsi pronto ad uno sport di squadra, o ad altre attività che prima semplicemente non avvertiva il bisogno di compiere: fare passeggiate all’area aperta, provare a prendere la bici piuttosto che l’auto, ecc. Cose che l’intelligenza artificiale, di fatto, non può compiere.

Ritorniamo dunque alla nostra produzione culturale: oggi, la maggior parte delle persone si dichiara spaventata da due potenziali effetti che l’intelligenza artificiale può avere sulla nostra produzione culturale. Da un lato ci sono coloro che temono che la possibilità di creare video o foto, o romanzi, o canzoni, o illustrazioni, possa soppiantare l’intera produzione musicale, perché è chiaro che se per arrangiare un brano l’utilizzo dell’intelligenza artificiale può ridurre di molto i costi, allora si tenderà ad utilizzare soprattutto quel tipo di risorsa. Dall’altro c’è chi teme, invece, che gli stessi artisti, potendo trovare nell’intelligenza artificiale un supporto in grado di sostituirli nelle dimensioni più routinarie, tenderanno ad abusare di questo strumento.
Rischi entrambi realistici, e che meritano di essere presi sul serio.

Ipotizziamo dunque che entrambi questi timori si verifichino. Che tipo di produzione musicale potremmo avere? Una produzione musicale di massa, in cui la ricerca dei suoni è divenuta così sofisticata da essere una scienza che combina l’arte musicale con il neuromarketing, generando melodie create con l’obiettivo specifico di restare nella testa delle persone. Una produzione, sviluppata prevalentemente da grandi etichette discografiche, che utilizzano gli strumenti tecnologici più evoluti per poter generare brani che verrebbero poi testati da altri strumenti tecnologici addestrati per valutarli, così da combinare la produzione musicale informatica con l’ascolto musicale informatico e poter lanciare sul mercato esclusivamente quei brani che sono risultati essere più convincenti.

Sul piano mainstream, dunque, è lecito affermare che tale condizione modificherebbe di poco la produzione musicale attuale. Verrebbe soltanto resa più estrema. Eppure, in un mondo contemporaneo in cui la maggior parte delle persone sa benissimo chi sia Taylor Swift ma in pochi si ricordino davvero le sue canzoni, in un mondo in cui gli arrangiamenti delle canzoni da trasmettere in radio sono sempre più efficaci, eppure, in un mondo così, la produzione musicale non ha smesso di diversificarsi. Oggi, in Italia, ci sono miriadi di musicisti che utilizzano gli stessi strumenti che rendono più agevole la produzione musicale (anche soltanto la tastiera che fa il suolo del violino), per realizzare delle sonorità uniche.

Non si tratta di “competizione” tra uomo e macchina: si tratta di esprimere la propria unicità. E questo ci riporta all’esoscheletro. La facilità di realizzare musica con l’intelligenza artificiale può indurre persone a chiedere ad un software di scrivere per loro una canzone. Magari inserendo all’inizio soltanto un “tema”. Scegliendo uno “stile”. Premendo “play”. Poi sviluppando un po’ alla volta la capacità di utilizzare quello strumento, e iniziando a scrivere un tema più approfondito, una parte di testo, chiedendo all’intelligenza artificiale di mescolare più stili, di aggiungere uno strumento e rimuoverne un altro.
Un po’ alla volta, quella persona potrebbe imparare le regole base, al pari di come l’esoscheletro con l’esercizio, e questo potrebbe indurre tale persona a voler sperimentare altre attività, come ad esempio quella di suonare uno strumento, o magari di imparare a programmare da sola i propri suoni. E a trovare una melodia che non risulti identica a quella di tutte le altre melodie che si ascoltano per radio.

La fotografia non ha ucciso la pittura. Il digitale non ha ucciso la fotografia analogica. Oggi, fare una fotografia “graziosa” è a portata di smartphone, e i filtri con intelligenza artificiale già presenti nei social network hanno reso la post-produzione molto più semplice. Il risultato è che praticamente chiunque abbia uno smartphone scatta nella vita più fotografie di quanto avvenisse con l’analogico. Molte di queste foto sarebbero del tutto sostituibili dall’intelligenza artificiale. Sono le foto che hanno il sapore del “pubblicitario”, di cui sono pieni i siti web, i blog, i post. Sono le foto “di stile”, che in effetti non fanno altro che replicare dei canoni classici di composizione.

Basta però dare uno sguardo ad altri social, come Pinterest ad esempio, per capire che sempre più persone hanno iniziato a scattare e caricare foto che non rispondono alla diffusa logica della vuota esaltazione quotidiana, ma che esprimono delle emozioni più intime, più ricercate. Di nuovo, l’intelligenza artificiale che già oggi ci rende i cieli delle nostre foto estremamente vividi, ha dato un “rinforzo positivo” più immediato legato all’atto dello scattar fotografie che ha avvicinato tantissime persone (consapevoli o meno) a livelli più profondi di consapevolezza del mezzo fotografico.
Ancora, la possibilità di creare immagini partendo da un testo può essere la base per lo sviluppo di nuove forme narrative. Tecniche. Sincopate. Descrittive come storyboard. Ingegneristiche.

Ciò significa che chi ama la fotografia con lo smartphone e con l’intelligenza artificiale sarà necessariamente spinto a comprare una macchinetta analogica? Niente affatto. Ma sarà sicuramente più incline a sviluppare un consumo culturale attivo. Così come chi recita su TikTok sarà più incline a considerare la recitazione una passione, se si diverte. Il nostro futuro vedrà le professioni cambiare, vedrà alcuni settori in difficoltà, vedrà alcune produzioni culturali divenire sempre più omologate, ed altre, all’opposto, sempre più di ricerca. Ma non è affatto detto che il rapporto tra l’essere umano e la sua espressività venga realmente rivoluzionato.

Ci sarà sempre chi cercherà la propria espressione, utilizzando gli strumenti in modo che gli sembra più congeniale. Così gli stili saranno sempre più ripetibili. Ma forse saranno sempre meno “popolati” dagli artisti, che per diversificarsi da produzioni che potrebbero risultare del tutto “automatizzate”, potrebbero anzi andare ad abitare spazi musicali, artistici, fotografici e letterari che oggi sono di nicchia. Non è detto andrà così. Ma si tratta quantomeno di un esercizio di ottimismo che è necessario condurre: perché pensare che le persone siano disposte a rinunciare a parti così importanti di sé (come l’espressione della propria persona), è uno scenario che, intelligenza artificiale o meno, già sancisce una prospettiva distopica per la nostra specie.


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