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La tentazione di Merz in Germania. Cdu più a destra per far ripartire l’industria?

I numeri inchiodano Scholz, per questa ragione il panorama produttivo tedesco (che impatta su un quarto del Pil) già in forte fibrillazione ai tempi della prima crisi energetica e a maggior ragione oggi dopo il crash del settore automotive, lancia un nuovo allarme e chiede a gran voce una revisione completa della politica economica dopo le elezioni di febbraio. La Cdu pronta a dire sì

L’Unione è uscita dal centro politico? La domanda circola con insistenza ormai in tutti i substrati (politici, economici, industriali) tedeschi alla vigilia di elezioni politiche quantomai significative, perché incastonate sia in una crisi oggettiva legata al biennio di recessione, sia in un ormai quasi certo avvicendamento politico tra Spd e Cdu. Gli eredi di Angela Merkel guidati da Friedrich Merz, capace di leggere i cambiamenti dell’elettorato medio e le istanze del mondo industriale, dopo la stretta sui migranti di fatto sconfessano le politiche della cancelliera e, anzi, guardano ad iniziative più radicali. Il tutto mentre i colossi dell’automotive come VW, Audi e Porsche stanno prendendo in considerazione la produzione negli Stati Uniti e mentre il “made in Germany” primo esportatore mondiale è solo un ricordo.

Il bivio di Merz

Non c’è solo la volontà di Merz di stringere le maglie delle politiche sui migranti, nel solco delle iniziative adottate dal governo italiano sul modello-Albania, ma anche la consapevolezza che in Germania il vento di destra è oggettivamente presente. Lo è stato nelle ultime elezioni regionali, dove AfD è andata in doppia cifra e probabilmente lo sarà, pur con numeri differenti, alle politiche. Merz lo ha compreso prima di altri e potrebbe essere messo dinanzi a un bivio a urne chiuse, se non dovesse avere la maggioranza assoluta.

Prima possibilità: proseguire con il “cordone sanitario” all’ultradestra e quindi cercare alleati tra Verdi o Liberali, ma con l’inconveniente politico di allacciare relazioni con quegli stessi soggetti politici che assieme alla Spd di Olaf Scholz hanno portato il paese nelle sabbie mobili in cui si trova ora. Seconda possibilità: turarsi il naso e provare a formare un governo con centro e destra, ma depurando AfD dalle contraddizioni sociali e morali emerse in questi anni. Se, ad esempio, l’ultradestra confermasse la doppia cifra fino al 18/20% dei consensi sarebbe difficile lasciarla fuori dai giochi, a meno che Merz non decida per una terza via, la stessa immaginata da Emmanuel Macron con il governo di larghe intese che ha solo ritardato il cambio politico in atto, oltre che inasprire socialmente una Francia ancora in balia di bilanci che non tornano.

Oltre la recessione

I numeri inchiodano Scholz, per questa ragione il panorama produttivo tedesco (che impatta su un quarto del pil) già in forte fibrillazione ai tempi della prima crisi energetica e a maggior ragione oggi dopo il crash del settore automotive, lancia un nuovo allarme e chiede a gran voce una revisione completa della politica economica dopo le elezioni di febbraio. L’occasione è stata una grande manifestazione svoltasi ieri dinanzi alla Porta di Brandeburgo di Berlino. Il decalogo fatto recapitare alla Cdu recita: costi energetici più bassi, meno tasse, più incentivi finanziari per gli investimenti, leggi sul lavoro più flessibili, meno sussidi sociali e meno burocrazia. Obiettivi che, alla luce del surplus di bilancio tedesco fatto registrare nell’ultimo decennio, sono raggiungibili. Il punto è se si sarà la volontà politica di farlo o se prevarrà la dottrina Schaeuble impostata sull’ultra austerità. Oggi però nel paese si produce e si costruisce meno, con il risultato che si compra e si consuma meno.

Per questa ragione grandi marchi automobilistici stanno ragionando sulle mosse da attuare nell’immediato: anche alla luce dei dazi sulle importazioni di automobili minacciati da Donald Trump che impatterebbero in maniera fortissima, Volkswagen, Audi e Porsche potrebbero produrre direttamente su suolo statunitese.

 


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