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Le sfide del governo Meloni sono solo all’inizio. Il commento di Sisci

Dal dialogo con Trump alle riforme come quella della magistratura, il governo Meloni ha davanti a sé sfide ancora più stringenti di quelle già passate. L’esecutivo è a rischio? No, ma qualcosa si muove (anche a sinistra). La riflessione di Francesco Sisci

C’è una ipotesi di massima. Il sorprendente Romano Prodi continua a tirare fuori assi dalla manica e avanza l’ipotesi di un partito di centro, una coalizione che apra a Forza Italia, oggi in maggioranza. E un’ipotesi minima. Il sottile Dario Franceschini osserva pragmaticamente che non c’è bisogno di pensare troppo in grande, basta un accordo elettorale sulla parte di seggi dell’uninominale, poi nel proporzionale ognuno corra da solo.

Così si esprime la forza della sinistra, incapace di unirsi sotto un’unica bandiera se non in opposizione alla destra ritualmente, a torto o a ragione, battezzata “fascista”. Si aprirebbe così anche a Forza Italia, verso cui ormai a sinistra nessuno ha più veti. Inoltre con lo sfarinamento dell’ipotesi della riforma costituzionale sul premierato potrebbe avanzare invece l’idea di adottare una nuova legge elettorale. Corrono voci di sposare il sistema elettorale per le regioni, che scelgono direttamente il governatore, con un consiglio regionale eletto su base proporzionale.

L’ipotesi comunque avrebbe i suoi problemi perché porterebbe un premier scelto direttamente sotto un Presidente della Repubblica invece eletto indirettamente. Ma in realtà il ribollire della sinistra, al di là dei silenzi sostanziali del suo capo deputato (Elly Schlein), rilascia un odore di fine della maggioranza attuale. Due forze possono accelerare uno sbandamento – la questione della difesa e la riforma della magistratura.

Oggi la spesa per la difesa italiana non arriva all’1,5% del Pil, l’America del presidente Donald Trump (a cui la premier Giorgia Meloni è tanto legata) chiede di arrivare al 5%. I polacchi e alcuni baltici già dicono che bisogna raggiungere il 6%. C’è un 3-4% di spesa nazionale che deve essere spostata dal burro ai cannoni. Significa un cambiamento totale dell’organizzazione dello Stato, non solo della sua spesa sociale. Ma per gli Usa (e lo dovrebbe essere per l’Europa) è questione di sopravvivenza. Gli Usa vogliono liberare risorse per l’Asia dove vogliono affrontare la Cina e forse chiedere anche un maggiore impegno europeo in Asia.

Per l’Europa non è meno fondamentale. Qualunque sia la pace raggiunta in Ucraina o a Gaza, Russia e Medio Oriente continueranno a essere dilemmi esistenziali per il continente che deve per questo prepararsi (ergo armarsi).

Il governo se non si mette in prima linea ad armarsi spegne la simpatia di Trump, Meloni diventa un problema, non una soluzione; quindi, non è chiaro cosa potrebbe succedere. Ma se Meloni si arma le salta la destra sociale, suo zoccolo duro di voti e interessi. Lei in origine non è andata al potere per riformare la burocrazia di stato come Javier Milei in Argentina, ma per difendere i piccoli privilegi di tassisti e spiaggisti. Il cerchio è difficile da squadrare.

Poi c’è la riforma della magistratura. C’è un ampio consenso (forse anche tra i giudici) che qualcosa deve essere fatto al riguardo, ma non c’è consenso su cosa fare. Il ministro della giustizia Carlo Nordio non pare abbia avuto il tocco necessario per costruire un’intesa tra i magistrati stessi sulla sua riforma.

La magistratura è un architrave costituzionale, quindi ha garanzie potenti. Inoltre, ha retto l’Italia, democraticamente, contro le ondate di terrorismo nero, rosso e mafioso per 20 anni. Poi, a torto o ha ragione, ha distrutto la prima repubblica. È stata l’architrave del Paese negli ultimi 50 anni.

Certo, oggi il suo prestigio non è quello di 20 anni fa. Abusi e protagonismi l’hanno indebolita, ma non è certo in un angolo. Forzare una riforma contro i magistrati potrebbe riservare molte trappole.

L’analisi non significa che Meloni sia sul punto di cadere. Nulla consolida il potere quanto stare al potere, specie in Italia dove la politica è in uno stato di permanente incertezza e fluidità. Ma mostra come i margini strutturali di recupero siano limitati.

Significa anche che Schlein è almeno in parte delegittimata. Se emerge un centro che guarda a sinistra e una convenienza a sparpagliarsi, allora non serve più un Pd tetragono sotto Schlein, che vuole controllare tutto ma forse controlla poco. È l’effetto cera pongo. Devi capire la forza da applicare. Troppo debole, ti scappa di mano, troppo forte la forma si disfa e sfugge fra le dita.


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