Per l’Italia consolidare la presenza nel Mediterraneo significa rafforzare il proprio ruolo in Europa, e anche come player di prim’ordine nel rapporto transatlantico. La Difesa è il fronte principale sul quale concentrarsi non solo per “rispondere” a una diretta sfida che ci arriva dalla nuova presidenza statunitense, ma perché significa – per l’Europa – ripensarsi. Trump non abbandonerà l’Ucraina. Colloquio con Gaetano Quagliariello, dean della Luiss School of Government
Quello che arriva dal Parlamento europeo riunito a Strasburgo è, per il momento, un primo tentativo di fare un salto di qualità sulla Difesa in risposta alle posizioni del neo presidente statunitense, Donald Trump. In gioco, tra le altre cose, ci sono i rapporti fra i il Vecchio Continente e gli alleati atlantici. Mentre sul dibattito legato alle strategie commerciali si assiste in queste ore a un dibattito che alterna cauto ottimismo a drammatico disfattismo, la vicepresidente della Commissione, Teresa Ribera, dalle colonne del Corriere della Sera in qualche modo “richiama” la premier italiana, Giorgia Meloni spiegando che la sua posizione non è quella dell’Europa. Tuttavia, come spiega a Formiche.net il dean della Luiss School of Government, Gaetano Quagliariello (presidente della fondazione Maga Carta) “può piacere o meno, ma il governo Meloni in Europa è il più stabile. E il nostro Paese in Ue riveste un ruolo mai avuto in precedenza”.
La vicinanza tra Meloni e Trump, da cui può trarre beneficio l’Italia, non rischia di minare i rapporti tra l’Italia e gli altri membri dell’Ue?
In questo frangente l’Europa è attraversata da diversi elementi di instabilità, che peraltro riguardano proprio i Paesi dell’asse sul quale la stessa Ue si è sviluppata in questi decenni: Francia e Germania. Questa crisi dei sistemi politici è senz’altro un ostacolo che tuttavia deve essere uno stimolo, per l’Europa, a fare un salto di qualità.
A cosa allude?
Penso che l’impulso che arriva dagli Stati Uniti possa fungere da pungolo per l’Unione che, dopo decenni, si trova alla vigilia di un cambio epocale sul piano politico globale di cui la vittoria di Trump è solamente un epifenomeno. La Difesa è il primo fronte sul quale concentrarsi non solo per “rispondere” a una diretta sfida che ci arriva direttamente dalla nuova presidenza statunitense, ma perché significa – per l’Europa – ripensarsi.
Ravvede la necessità di un intervento massiccio in termini di architettura istituzionale?
È quanto mai urgente. La costruzione – finalmente – di un esercito europeo riporterebbe al centro del dibattito un tema fondamentale, ossia quello della governance. Dunque, di conseguenza, della sovranità europea.
Il pressing su Putin da parte del neo presidente statunitense inizia a essere piuttosto chiaro. Anche su questa posizione, però, prima del suo insediamento si erano agitati diversi spettri.
Un po’ come per i dazi, bisogna inquadrare la questione Ucraina in relazione al modo di fare politica di Donald Trump. Metodologicamente, tende ad aprire diversi fronti, anche creando il caos, per poterlo poi gestire. L’inquilino della Casa Bianca sa che non potrà “mollare” l’Ucraina. A maggior ragione perché nell’immaginario collettivo statunitense, la Russia non è un antagonista comune. Per cui, da parte sua ci saranno senz’altro tanti sforzi per fare in modo che il conflitto cessi.
Strategicamente, dunque, come si dovrà muovere l’Italia nel rapporto con gli Usa?
Deve diventare sempre di più una potenza che ha il Mediterraneo come riferimento. Quell’area, in forte espansione, deve essere la nostra priorità. Il Piano Mattei coglie la portata della sfida. Per l’Italia consolidare la propria presenza in quella regione significa rafforzare il proprio ruolo in Europa ma anche come player di prim’ordine nel rapporto transatlantico.