La missione ha un duplice valore: economico e geopolitico, contribuendo alla modernizzazione della società saudita e pensando alla normalizzazione dei rapporti con Israele. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta
La missione di Giorgia Meloni in Arabia Saudita ha suscitato commenti discordanti e non sono mancate critiche nei confronti della presidente del Consiglio, che quando si trovava all’opposizione attaccava il regime saudita per le performance quantomeno discutibili legate al rispetto dei diritti umani. Ma essere al governo è un’altra cosa, le responsabilità sono diverse e, in questo momento, è importante che l’Italia rafforzi alcune partnership internazionali che possono avere un valore strategico sotto diversi aspetti e in sintonia con il nuovo presidente americano Donald Trump, che considera il regno saudita prioritario nella sua agenda internazionale ed economica. Rapporti che poi avranno bisogno di uno specifico quadro di riferimento politico e di nuove strutture giuridiche per accompagnare al meglio i nostri imprenditori.
Innanzitutto, va adeguatamente sottolineata l’importanza economica del viaggio della presidente del Consiglio in Arabia Saudita. Nel corso della visita sono stati siglati accordi per un valore di circa 10 miliardi di dollari, sulla base di una già solida e promettente relazione bilaterale. Infatti, il valore degli scambi commerciali tra Roma e Riad nel 2023 ammontava già a 11 miliardi di euro, mentre l’Italia si trova tra i primi 20 investitori nel regno saudita con 150 imprese già attive nel Paese. Tra gli accordi firmati all’ombra della tenda di Al Ula, ce ne sono alcuni che puntano a rafforzare in maniera significativa questi rapporti. A cominciare da quelli firmati tra Cassa depositi e prestiti e Acwa Power per investire congiuntamente in progetti energetici in Africa, dunque in un’ottica funzionale allo sviluppo del Piano Mattei (che compie il suo primo anno di vita proprio in questi giorni). Continuando poi con quelli nell’ambito delle tecnologie per la Difesa, con riferimento all’accordo tra Elettronica e Sami AEC. E, per restare sempre nell’ambito militare, si è anche parlato di includere l’Arabia Saudita nel Global Combat Air Programme, il caccia di nuova generazione che vede coinvolta l’Italia insieme al Giappone e al Regno Unito: Meloni ha affermato che ci vorrà tempo prima che anche Riad possa entrare, ma il primo passo è stato compiuto.
A fianco dell’importanza economica, va poi ribadito il valore geopolitico della relazione con l’Arabia Saudita in una regione che è fondamentale per gli equilibri globali. Negli ultimi anni, sotto la guida di Mohammad bin Salman il ruolo di Riad come leader in Medio Oriente si è affermato avendo come obiettivo principale la normalizzazione dei rapporti con Israele. L’Arabia Saudita ha infatti intrapreso, in parallelo alla firma degli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, un percorso di distensione e implicita collaborazione con Tel Aviv che ha subito tuttavia un rallentamento a causa dell’occupazione militare di Gaza. Al di là dei rapporti con Israele, è importante comunque sottolineare il ruolo crescente perseguito da Riad a livello internazionale, anche attraverso una svolta improntata all’apertura internazionale (pensiamo, per esempio, alla leva del turismo, esempio di soft power su cui il Paese sta puntando forte) e a una graduale modernizzazione della società.
Bene ha fatto, dunque, “Giorgia d’Arabia” a prendere questo tè nel deserto con il principe ereditario bin Salman. I sauditi non saranno certo campioni di democrazia, ma nel mondo di oggi che rischia di diventare sempre più frammentato e complesso e dove nessuno può impartire lezioni in questo campo un approccio realista ai rapporti internazionali è ineludibile per difendere gli interessi del nostro Paese, promuovendo le nostre imprese e il peso strategico dell’Italia nella regione del Mediterraneo allargato.