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Modello SpaceX anche per i caccia del futuro. La scelta del Pentagono

Nel 1979, un funzionario del Pentagono analizzò che il costo dei caccia statunitensi era cresciuto di dieci volte ogni vent’anni. Questa tendenza continua ancora oggi e sembra proiettata verso il futuro, mettendo a rischio la sostenibilità del potere aereo. Per affrontare la sfida il dipartimento della Difesa punta sull’intelligenza artificiale e sui droni, ma a cambiare deve essere anche la cultura del procurement, e il successo di SpaceX nel settore spaziale mostra che efficienza e performance non sono incompatibili

Il costo unitario dei caccia di nuova generazione è aumentato di circa un ordine di grandezza ogni vent’anni dal 1910, e la tendenza sembra destinata a continuare anche in futuro. È quella che al Pentagono chiamano la “Legge di Augustine”, dal nome del suo teorizzatore, Norman Augustine, un alto funzionario del dipartimento della Difesa statunitense che nel 1979 condusse uno studio sull’aumento dei costi dei caccia militari negli Stati Uniti. Il risultato è, appunto, la constatazione di una crescita costante nel tempo. All’epoca, lo stesso Augustine osservò con ironia: “Nel 2054, l’intero bilancio della difesa basterà a comprare un solo aereo, che sarà condiviso da Aeronautica e Marina per tre giorni e mezzo a settimana, con un giorno extra per i Marines negli anni bisestili”. A ricordarlo sono stati Gregory C. Allen, direttore del Wadhwani Center for AI and Advanced Technologies presso il Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington, e Isaac Goldston, ricercatore associato presso il Wadhwani Center, nel loro articolo “Updating Augustine’s Law: Fighter Aircraft Cost Growth in the Age of AI and Autonomy”. Come riportato dai due ricercatori, infatti, la Legge è ancora valida. Nel 2010, The Economist aggiornò l’analisi, confermando che l’inflazione dei costi prevista dalla Legge era continuata senza sosta.

Negli anni successivi alla ricerca di Augustine, la tendenza non ha mostrato segni di rallentamento. Quando l’F-35 raggiunse la capacità operativa iniziale nel 2016, il suo costo medio unitario era di 140 milioni di dollari, escludendo costi di ricerca, sviluppo e manutenzione. Più di recente, il segretario dell’Aeronautica militare Usa, Frank Kendall, ha stimato che il caccia di prossima generazione Ngad (l’equivalente a stelle e strisce del Gcap) costerà trecento milioni di dollari. Un importo che potrebbe aumentare ulteriormente a causa della tendenza dei programmi dell’Usaf a sforare le stime iniziali. L’impatto di tali costi è evidente: nel 2025 il Pentagono prevede di acquistare appena 86 caccia, un calo del 72% rispetto al 1985.

Come ricordato dall’analisi, a volte si attribuisce questa crescita dei costi all’aumentata complessità intrinseca delle armi moderne. Tuttavia, uno studio del 2009 della Darpa ha rilevato che settori tecnologici complessi come l’automotive e i semiconduttori hanno ottenuto miglioramenti straordinari delle prestazioni senza un corrispondente aumento dei costi. Con le dovute trasformazioni, tecnologie come il digital design o la miniaturizzazione dei chip avrebbero dovuto ridurre i costi, o almeno mantenerli stabili.

Proprio per rispondere a questa sfida, il Pentagono ha lanciato il programma Collaborative combat aircraft (Cca), mirato a sviluppare migliaia di caccia autonomi e senza equipaggio, a costi più contenuti. Secondo le stime, un singolo Cca costerà circa trenta milioni di dollari, dieci volte meno il costo di un Ngad pilotato. Il programma, con un investimento di oltre nove miliardi di dollari, si inserisce in una più ampia iniziativa del Pentagono, la Replicator initiative, lanciata nell’agosto 2023 per sviluppare migliaia di sistemi autonomi entro il 2025. L’idea alla base è che le aumentate capacità di intelligenza artificiale e autonomia dei sistemi possano rappresentare la migliore opportunità per superare la Legge di Augustine e garantire la sostenibilità, non solo economica, del futuro del potere aereo.

Questa strategia si ispira al successo che in un altro settore, quello dello spazio, ha avuto il basarsi su logiche nuove rispetto al tradizionale procurement governativo, basandosi in particolare su modelli privati di successo. È il caso di SpaceX. Nel 2011, un’analisi condotta dalla Nasa si è domandata quanto sarebbe costato lo sviluppo del lanciatore Falcon 9 sotto la gestione tradizionale del governo statunitense. Secondo l’analisi dell’Agenzia, l’intero percorso di sviluppo del razzo, dalla fondazione dell’azienda al primo lancio nel 2010, è costato quattrocento milioni di dollari. Partendo da questo dato, la Nasa ha applicato i parametri di performance del Falcon 9 al proprio modello standard per stimare i costi dei programmi spaziali governativi utilizzando il Nasa–Air force Cost model (Nafcom). Il risultato è stato che con la struttura e la cultura tradizionale della Nasa, il costo di sviluppo del solo Falcon 9 sarebbe stato stimato in oltre quattro miliardi di dollari, più di dieci volte il reale investimento di SpaceX. Anche adottando un approccio gestionale più sul modello commerciale, secondo le simulazioni della Nasa, i costi sarebbero comunque arrivati a poco meno di due miliardi di dollari, più di quattro volte quanto effettivamente speso dall’azienda di Elon Musk. Questa discrepanza ha evidenziato che i modelli di costo utilizzati dalla Nasa e dall’Usaf per stabilire i target finanziari dei programmi non avevano mai immaginato percorsi di efficienza economica. L’esempio di SpaceX ha dimostrato che miglioramenti significativi nei costi – senza sacrificare le performance o i tempi di consegna – sono non solo possibili, ma realizzabili.


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