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La separazione delle carriere non è contro i magistrati. Pittalis spiega perché

Passa in prima lettura alla Camera la riforma della Giustizia per separare le carriere di magistratura requirente e giudicante. La volontà non è quella di sottoporre l’organismo giurisdizionale sotto l’egida politica, bensì quella di garantire la terzietà del giudice uscendo dalla logica delle correnti. Intervista al vicepresidente della Commissione Giustizia, Pietro Pittalis

Il primo via libera alla Camera è arrivato. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dice a chiare lettere che grazie a questa riforma costituzionale rappresenterà una garanzia per i cittadini e un riequilibrio di poteri. È dello stesso avviso anche Pietro Pittalis, vicepresidente della Commissione Giustizia a Montecitorio e deputato di Forza Italia che – sulle colonne di Formiche.net – parla a chiare lettere di “passaggio epocale”.

È una prima lettura, anche se la maggioranza ha votato in modo compatto. Se lo aspettava?

La riforma della Giustizia è parte integrante del programma con il quale il centrodestra ha vinto le elezioni. È stata votata dagli italiani. Peraltro si tratta di una battaglia storica del nostro fondatore, Silvio Berlusconi. A fronte dell’unità della maggioranza, che ha votato in maniera univoca, assistiamo a una scomposta reazione della magistratura.

La separazione delle carriere, così come il doppio Csm, la valutazione dell’Alta Corte sul loro operato e l’estrazione dei componenti sono temi divisivi. Già si sapeva. 

C’è una parte della magistratura, minoritaria ma rumorosa, che non accetta questa riforma. Un’altra fetta consistente, invece, la appoggia e ne coglie la portata. Abbiamo assistito a montature ad hoc, unicamente per creare allarmismi. Ma c’è un altro principio che andiamo a ristabilire con questa riforma.

Quale?

È il Parlamento che fa le leggi, la magistratura è tenuta ad applicarle.

I rapporti con la magistratura, già non ottimali, rischiano di incrinarsi ulteriormente. 

Leggere questa volontà riformatrice come un tentativo di attaccare la magistratura è del tutto fuorviante, oltre che strumentale. Noi vogliamo semplicemente contrastare la logica correntizia che ha generato tantissimi danni a questo Paese. A noi interessa far funzionare il sistema giudiziario.

Alcuni leggono questo come un primo passo per la politicizzazione della magistratura. È una lettura verosimile?

Assolutamente no, si tratta di una forzatura. O si è in malafede o non si ha letto il testo della riforma: non sta scritto da nessuna parte che la magistratura soggiacerà alla politica. Ne, tantomeno, è nelle nostre intenzioni. Anzi, il nostro obiettivo è proprio quello di garantire la terzietà del giudice. Fermo rimanendo che non viene intaccata l’obbligatorietà dell’azione penale.

Una parte delle forze di opposizione – +Europa e Azione – ha votato a favore. Se lo aspettava?

È una proposta di riforma che evidentemente ha trovato condivisione in una parte della minoranza. Ossia quella parte di minoranza che non approccia al tema della Giustizia in maniera ideologica. Un modo per rimarcare la volontà di non piegarsi a certi diktat che arrivano proprio dalla magistratura.

Adesso che passaggi ci aspettano?

Andrà in prima lettura al Senato, poi la legge tornerà alla Camera. Prima dell’estate o al massimo a settembre, la separazione delle carriere dei magistrati diventerà legge costituzionale. Poi si darà attuazione all’organizzazione e la composizione dei due Csm, dell’alta corte e si definiranno le modalità di sorteggio. Non vediamo l’ora di affrontare il referendum: gli italiani, siamo certi, saranno dalla nostra parte. 


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