Mentre in Europa diversi Stati faticano a investire il 2% del Pil nella Difesa, Donald Trump rilancia e valuta di proporre un nuovo obiettivo del 5% per i membri Nato. D’accordo anche Mark Rutte, il quale avverte che senza un aumento delle spese “la Nato non sarà in grado di difendersi”. Nel frattempo, l’Italia continua a puntare sul 2% e torna sul tema dello scorporo degli investimenti nella Difesa dai vincoli del Patto di stabilità
Con l’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca, il dibattito sulle spese militari degli Stati membri della Nato entra in una nuova fase. Benché l’invasione dell’Ucraina del 2022 sia effettivamente risultata in un aumento complessivo delle spese, finora l’idea di alzare ufficialmente la soglia percentuale del Pil investito nella Difesa era rimasta nel dominio delle ipotesi. Ora, con l’avvicinarsi del prossimo summit Nato di giugno, è il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, a sposare la linea di Trump e rilanciare il tema dell’aumento della spesa. Ancora una volta Rutte non ha dato una cifra esatta, ma sembra ormai inevitabile che la proposta sarà quella di portare l’impegno alleato almeno al 4-5%. I prossimi mesi saranno determinanti per capire quali saranno termini e condizioni di questi aumenti.
Le ragioni di Trump e Rutte
“Il problema è che, e Trump lo ha sempre ribadito, in Europa si spende poco in termini di difesa”, ha affermato Rutte durante il World economic forum di Davos. “Il problema è che non siamo ancora tutti al 2%, ma il 2% non è abbastanza”. Secondo il segretario generale, che sin dal suo insediamento ha fortemente sottolineato la necessità di affrontare la questione delle spese militari, l’aumento della quota sarà inevitabile per garantire la sicurezza euro-atlantica nei prossimi anni. “Adesso siamo al sicuro, ma la Nato collettivamente non sarà in grado di difendersi in quattro o cinque anni se ci si atterrà al 2%”. A contribuire a questa previsione sono i timori circa l’aumento della spesa militare russa che, nonostante i toni apparentemente dialoganti del Cremlino, quest’anno porterà i suoi investimenti al 9% del Pil, numeri che non si vedevano a Mosca dalla Guerra fredda. Inoltre gli Stati Uniti, la cui attenzione è sempre più rivolta verso la Cina, lamentano lo scarso contributo degli Stati europei alla sicurezza collettiva, con Trump che starebbe valutando il ritiro di circa 20mila militari Usa dal continente europeo. Tale mossa, se confermata, sarebbe il primo passo verso una diversa ripartizione degli oneri tra gli Alleati, mentre si fanno sempre più insistenti le indiscrezioni che darebbero il presidente Usa pronto a chiedere agli alleati di investire il 5% del Pil nella Difesa. Discordanti le reazioni dei Paesi europei, diversi dei quali hanno a malapena raggiunto recentemente l’obiettivo del 2%.
La posizione dell’Italia
“Sulla spesa militare sarà impossibile arrivare al 5%”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha evidenziato che “stiamo facendo un grande sforzo per arrivare al 2%. A fargli sponda è anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ribadisce: “per adesso il nostro obiettivo è il 2%”. Il tema delle spese militari rimane un argomento delicato per l’Italia, la quale si scontra con le limitazioni al deficit imposte dal Patto di stabilità. La linea della politica nazionale rimane quella di puntare allo scorporo delle spese militari dai vincoli del Patto e solo successivamente di entrare nel merito di cifre e numeri. Senza una simile misura, il Paese si troverebbe impossibilitato a valutare aumenti della spesa militare senza ricorrere a tagli drastici su altre voci di spesa pubblica come sanità, istruzione e previdenza sociale. La trattativa non è dunque solo tra Europa e Stati Uniti sull’aumento delle spese, ma anche tra Stati europei circa i modi in cui finanziare questo aumento. Sul tavolo rimangono due opzioni: lo scorporo delle spese a debito invocato dall’Italia o il finanziamento mediante un debito comune europeo.
La Nato non è in discussione
Mentre la diplomazia delle dichiarazioni pubbliche fa il suo corso, la tenuta dell’Alleanza Atlantica non è messa in discussione sul piano istituzionale. Il nuovo segretario di Stato Usa Marco Rubio, confermato dal Senato con la schiacciante maggioranza di 99 a 0, ha infatti espresso il suo appoggio a un progetto di legge per blindare l’adesione di Washington all’Alleanza. In particolare, la nuova legge stabilirebbe l’impossibilità per gli Usa di ritirarsi dalla Nato senza l’approvazione del Senato o un’altra forma di atto legislativo da parte del Congresso. Pur condividendo in pieno le idee di Trump su una più equa ripartizione degli oneri di spesa in seno all’Alleanza, con questa proposta Rubio mostra l’altro lato della trattativa, rassicura gli alleati sull’impegno degli Usa per la sicurezza collettiva e ribadisce che la Nato rimane “un’alleanza molto importante”.