L’ultimo rapporto dell’Istituto, presentato alla Camera, mette in luce due problematiche non ancora risolte. Primo, troppe persone non cercano lavoro. Secondo, i contratti collettivi non bastano a domare l’inflazione
Sarà anche vero, come dice l’Istat, che in Italia la disoccupazione è ai minimi, al 5,7% (dato di novembre). Ma nella Penisola sono ancora troppe le persone che non hanno un lavoro o quanto meno lo cercano. L’ultimo rapporto Inapp, l’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche, presentato alla Camera, restituisce la fotografia di un Paese a due velocità. Da una parte l’occupazione, dopo la pandemia, è tornata a tirare. Dall’altra, però, c’è ancora troppa gente che si scoraggia e prova a sbarcare il lunario tra bonus e sussidi.
“Negli anni successivi alla pandemia la crescita dell’economia è stata imponente”, è la premessa del rapporto. “L’aumento dell’occupazione è risultato allineato a quella dell’economia (+3,5% del tasso di occupazione). Da dicembre 2019 a fine 2024 sono stati creati un milione di nuovi posti di lavoro. Il calo del numero dei disoccupati è stato quasi simile. Questi numeri hanno consentito il raggiungimento del record storico in termini di occupati (24,1 milioni) e tasso di occupazione (62,5%)”.
Bene, ma attenzione. Perché se è vero che è anche “migliorata anche la qualità dei nuovi rapporti di lavoro, con la crescita dei rapporti a tempo indeterminato (+1,375 milioni), nonostante le performance positive, le criticità rimangono elevate. Il tasso di inattività (33,6%) continua a rappresentare lo zoccolo duro del mancato utilizzo delle risorse umane in età di lavoro. Supera di 10 punti la media Ue per i giovani under 35 e raggiunge il picco del 58,2% per le donne del Mezzogiorno”.
A questo punto viene da chiedersi, come aggiustare il tiro? La contrattazione, che è lo strumento alternativo agli interventi del governo sulle buste paga, potrebbe non bastare a risolvere il problema, soprattutto sul versante del costo della vita. “Il calo dell’inflazione in atto dal 2023 e il rinnovo di diversi contratti di lavoro hanno consentito una graduale crescita del valore reale delle retribuzioni. La perdita del potere di acquisto rispetto all’incremento dell’inflazione del biennio precedente risulta ancora elevata (-7,9%). Anche l’Ocse conferma una perdita del 6,9% dei salari reali italiani (dati al primo trimestre 2024 rispetto al 2019) e un ulteriore aumento della distanza rispetto alla media dei Paesi sviluppati motivata, in particolare, dalla bassa crescita della produttività”, si legge nel rapporto Inapp.
Dunque, “le cause riguardano i meccanismi previsti dai contratti collettivi per il recupero dell’inflazione, i ritardi dei rinnovi contrattuali rispetto alle scadenze, l`impatto differenziato della crisi pandemica nei settori specifici. La contrattazione collettiva nazionale non appare in grado di incentivare la crescita dei salari reali se non vengono adottati altri indicatori per orientare gli aumenti delle retribuzioni: incremento della produttività dei fattori; fabbisogno di lavoratori competenti; attrattività delle proposte salariali rispetto all`andamento dell`offerta di lavoro. Il potenziamento del secondo livello aziendale o territoriale è il complemento necessario per rendere aderente la contrattazione collettiva alle evoluzioni delle organizzazioni produttive e del mercato del lavoro”.
Per il governo, rappresentato per l’occasione dal ministro del Lavoro, Marina Calderone, la vera sfida però è un’altra: le competenze. “La situazione del mercato del lavoro è assolutamente positiva, ma l’obiettivo è continuare a impegnarsi per avere un mondo del lavoro più efficiente e inclusivo e ridurre le diseguaglianze che permangono. Abbiamo molto da fare per portare a bordo le energie vitali del Paese: giovani e donne, abbiamo da fare ancora un percorso importante. Ma anche in questo contesto l’indicatore ci dice che c’è un’inversione di tendenza. Dobbiamo vincere la sfida delle competenze, una sfida fondamentale”.