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L’Europa non tema troppo i dazi di Trump. Parla Simoni (Luiss)

L’aggressività verbale del neo presidente non deve indurre a pensare a una politica commerciale altrettanto muscolare, anche perché lo stesso Elon Musk potrebbe perderci. Le big tech azioniste del governo americano? Una forzatura. E con la Cina non ci saranno troppi scossoni

L’Europa al tempo di Donald Trump, parte seconda. Nelle ore in cui il 47esimo presidente degli Stati Uniti giurava con la mano sulla Bibbia, aprendo la sua seconda amministrazione non consecutiva, in Europa la domanda circolata in queste settimane si faceva più insistente: e adesso? Che nel Vecchio continente, e in Italia, ci sia una certa preoccupazione verso la nuova, probabile, stretta commerciale americana, è un dato di fatto.

L’Europa, che già sconta gli effetti di una concorrenza cinese piuttosto aggressiva, quando non sleale, non può certo permettersi un ulteriore inasprimento sul versante delle esportazioni. E allora, quale lo scenario? E quali gli, eventuali, piani B? Formiche.net ne ha parlato con Marco Simoni, economista, manager e docente di Politica economica in tempi di crisi alla Luiss.

Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. E in molti vedono allungarsi sull’Europa l’ombra dei dazi. Cosa ci dobbiamo aspettare?

Noi non sappiamo ancora con certezza quello che vorrà fare effettivamente Trump. Possiamo presumerlo, ma non abbiamo al momento informazioni fattuali. E non le ha nemmeno l’Europa. Certo, qualcosa sul versante dei dazi si muoverà, lui stesso lo ha detto tante volte prima e durante la campagna elettorale. Ma non ne conosciamo i confini, la portata, i destinatari.

Non ancora, almeno…

Le risposte alla speculazione arriveranno a breve, con ogni probabilità già con i famosi cento ordini esecutivi che egli stesso firmerà. E poi va data un’altra lettura.

Quale?

Non dobbiamo mai dimenticare che il grosso del capitalismo americano è con Trump. E allora, forzando un po’, se i dazi di Trump innescano una reazione da parte dell’Europa e per questo Tesla, dunque Elon Musk, comincia ad avere difficoltà a vendere auto in Ue, non credo che sia una buona notizia per lo stesso Musk. Questo per dire che tra l’aggressività verbale e la realtà, ce ne corre. E io non credo che Trump voglia danneggiare l’industria statunitense, quella stessa industria che lo sostiene.

Supponiamo però, almeno per un momento, che i dazi alla fine arrivino e colpiscano. Che succede?

Parliamo di un mercato unico gigantesco, più grande di quello americano. All’indomani dell’invasione dell’Ucraina abbiamo avuto la crisi energetica eppure l’abbiamo superata, nonostante sia stato difficile fare a meno del gas russo, da cui il Continente ha dipeso per anni. E ci sono dati che raccontano di un Sud d’Europa che va meglio del Nord. Insomma, siamo abbastanza resilienti e resistenti.

Alla fine come reagirà la Cina?

Credo che cambierà poco per la Cina, Trump o non Trump. Parliamo delle due grandi potenze del mondo, una conflittualità è inevitabile. Ma il punto non è pensare di tenere un’armonia di fondo, contrasto e competizione tra le imprese dei due Paesi ci saranno sempre, saranno fisiologiche e andranno governate nel miglior modo possibile. Non è un caso che le tensioni tra Stati Uniti e Cina sia iniziate con la prima amministrazione Trump e poi siano proseguite con Biden. Dunque, non mi aspetto grandi cambiamenti con la nuova presidenza.

Alcuni osservatori hanno fatto notare come le big tech, le grandi industrie tecnologiche, siano gli azionisti del governo Trump. Può essere considerata una forzatura?

Assolutamente sì, non parlerei di azionisti. Sono grandi imprese, la capitalizzazione sulla carta è enorme e negli ultimi mesi hanno voluto dimostrare vicinanza al nuovo presidente, ma semplicemente perché ne avevano e ne hanno bisogno. Dunque sono loro ad avere bisogno di Trump, se avessero potuto evitare di corteggiarlo, lo avrebbero fatto.


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