Il presidente appena entrato in carica ha intenzione di smantellare il Pclob, l’agenzia indipendente che ha nelle sue funzioni il controllo e la notifica di eventuali abusi nel trattamento delle informazioni personali. Una garanzia per Bruxelles, che chiede il rispetto dei diritti fondamentali. Sebbene sia presto per esprimere giudizi, è la conferma che la nuova amministrazione americana intende rivedere i rapporti con lo storico alleato
“L’Europa è sleale con le Big Tech”. Dal World Economic Forum di Davos, Donald Trump ha ribadito un concetto ormai chiaro: prima gli interessi americani, poi quelli condivisi con gli alleati. La prova sta nei fatti. La nuova amministrazione repubblicana starebbe pensando di smantellare il Privacy and Civil Liberties Oversight Board (PCLOB), l’agenzia indipendente che tutela i dati dei privati. Era stata istituita per indagare sulle attività del governo che possono violare i diritti dei singoli cittadini, ma serve anche a regolare i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea, consentendo il trasferimento dei dati degli europei in America e rispondendo ai reclami per uso improprio. Come scrive Politico, è la base giuridica di cui si servono le Big Tech per migrare le informazioni degli utenti, le fondamenta del Quadro transatlantico sulla privacy dei dati (TADPF).
Uno strumento di controllo, pensato all’indomani dell’11 settembre 2001 e formato da cinque membri nominati dal presidente e confermati dal Senato, che rimangono in carica per sei anni. Per essere operativo, e dunque avviare nuove indagini o emettere un rapporto, devono esserci almeno tre membri. Lo stesso numero a cui nei giorni scorsi è arrivata una email dall’indirizzo Trent Morse, il vicedirettore della squadra presidenziale della Casa Bianca, con la richiesta di dimettersi entro la chiusura dei lavori, fissata al 23 gennaio. Altrimenti, sarebbe stato Trump a licenziarli.
La questione ha messo in allarme molte persone sulle due sponde dell’Atlantico. Da una parte gli americani, che si vedono privare di un ente di vigilanza che può arginare eventuali abusi da parte del loro governo; dall’altra gli europei, spaventati di quel che ne sarà dei dati personali dei cittadini senza una supervisione indipendente. Nel mezzo, le stesse società tecnologiche, spaesate in quanto si sono basate su questo regolamento. “Un PCLOB non funzionante potrebbe compromettere il funzionamento del framework e quindi la sua adeguatezza, creando veri grattacapi ad aziende come Google, Amazon e Meta che fanno affidamento su di esso per trasferire i dati personali degli europei negli Stati Uniti”, ha osservato Jeramie Scott, a capo del Project on Surveillance Oversight dell’Electronic Privacy Information Center.
Per adesso, a Bruxelles mantengono la calma. Naturalmente si seguono con grande attenzione le mosse di Washington, ma si prova a stemperare affermando che norme con gli Stati Uniti rimangono in vigore a prescindere dal PCLOB. Nel caso la situazione si dovesse complicare, allora si prenderanno contromisure. Ma in quel caso lo strappo sarebbe già consumato.
Come spiega al Sole 24 Ore la giurista esperta di questioni tecnologiche, Giusella Finocchiaro, “l’eventuale revoca delle garanzie al trasferimento dei dati personali da Europa a Stati Uniti non impedirebbe ogni rapporto con gli Usa, lo renderebbe però molto più complicato e darebbe lavoro a noi avvocati. Oltre alla decisione di adeguatezza rappresentata dal TADPF”, aggiunge, “esistono infatti altri strumenti a garanzia dello scambio di dati tra Ue e Usa, come ad esempio il consenso, la sottoscrizione di clausole e importatore di dati o, all’interno dello stesso gruppo imprenditoriale, le Binding Corporate Rules. Inoltre – conclude Finocchiaro – codici di condotta e meccanismi di certificazione”.
Al momento bisogna aspettare prima di esprimere giudizi. Il segnale lanciato da Trump però è evidente e conferma le sue reticenze per la regolamentazione europea e su come consideri le Big Tech aziende statunitensi e non player globali.