Il 2025 promette di essere un anno caldo per quanto concerne la politica sanitaria dell’Unione europea. In un contesto segnato dalla necessità di rispondere a sfide strutturali, come le carenze di medicinali essenziali, fino al completamento della European health union, la neo-insediata Commissione si prepara a ridefinire le priorità del continente in ambito sanitario
L’anno si apre con una nuova Commissione europea e un’agenda sanitaria densa di obiettivi strategici e dossier complessi. Dall’approvvigionamento di farmaci essenziali alla lotta contro l’antimicrobico-resistenza, passando per le riforme legislative nel settore biotech e farmaceutico, l’Unione è chiamata a rispondere a sfide strutturali che non possono più essere rimandate. Tuttavia, l’incertezza sulle risorse disponibili e la crescente pressione esercitata da tensioni geopolitiche rischia di ridisegnare le priorità dell’Europa. In questo contesto, il neo-commissario alla Salute, Olivér Várhelyi, dovrà dimostrare di saper trasformare le promesse di una sanità europea più forte in realtà tangibili, senza perdere di vista il delicato equilibrio tra innovazione, accessibilità e sicurezza.
UN INIZIO TURBOLENTO
L’ungherese Várhelyi, già commissario per l’Allargamento e la politica di vicinato nella scorsa commissione – figura che Politico aveva definito “unlikely” a ottenere la conferma dopo la nomina da parte della presidente Ursula von der Leyen – ha ribaltato le aspettative, lo scorso novembre, assicurandosi il ruolo di commissario europeo per la Salute e il benessere degli animali. Nonostante le iniziali previsioni negative e il diffuso scetticismo tra gli europarlamentari, che sembravano indicare una difficoltà insormontabile nel raggiungere la maggioranza dei due terzi necessaria per una conferma, Várhelyi si trova ora a dover gestire uno dei dossier più critici e strategici per l’Unione – sebbene privato dell’agenda riguardante i diritti riproduttivi e la health emergency preparedness, passati nelle mani di Hadja Lahbib, commissaria europea per la Preparazione, la gestione delle crisi e l’uguaglianza.
CARENZE DI MEDICINALI
Quello delle supply chain e della dipendenza da Paesi terzi per la fornitura di medicinali – Cina e India producono fra il 60% e l’80% dei principi attivi dei farmaci venduti in Europa – è un problema noto. L’iniziativa di un Critical medicines act, confermata nelle linee guida di von der Leyen lo scorso luglio, passa ora nelle mani di Várhelyi. Il neo-commissario desidera presentare la proposta entro i primi cento giorni del mandato. Per quanto si tratti di un obiettivo forse eccessivamente ambizioso, questo ha il potenziale di trovare un’ulteriore spinta grazie alle raccomandazioni dell’Alleanza per i medicinali critici (Cma), attese per il prossimo mese. La Cma, organismo consultivo composto da 250 stakeholder, giocherà, infatti, un ruolo decisivo. L’Alleanza – lanciata dall’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera) della Commissione europea a gennaio 2024 e istituita nell’aprile dello stesso anno – ha lavorato per individuare le debolezze nelle supply chain europee. Le indicazioni attese, frutto della collaborazione tra autorità nazionali, industria, società civile ed enti dell’Ue, potrebbero contribuire a soddisfare i requisiti del better regulation, i quali prevedono una valutazione obbligatoria dell’impatto delle proposte legislative.
UN FUTURO BIOTECH
Anch’esso presente nelle linee guida della presidente Ue, il Biotech act ha il potenziale di restituire competitività all’Unione in un settore che (altrove) corre alla velocità della luce. “L’Europa deve anche essere all’avanguardia nel punto d’incontro tra scienza emergente, tecnologia e industria, il fulcro che renderà questa rivoluzione tecnologica più rapida e trasformativa. Per facilitare il passaggio della biotecnologia dal laboratorio alla fabbrica e successivamente al mercato, proporremo un nuovo European biotech act nel 2025”, aveva affermato von der Leyen. Il mercato è infatti dominato dalla presenza statunitense che contribuisce al 60% del valore globale, segue l’Ue (12%) e la Cina (11%). Pechino, tuttavia, è al sorpasso. La quota dell’Europa sul totale degli studi clinici a livello globale è crollata dal 22% nel 2013 al 12% nel 2023, mentre nello stesso periodo l’Asia è emersa un hub sempre più rilevante. La Cina, in particolare, ha visto la sua quota di avvii di studi clinici crescere dall’8% nel 2013 al 29% nel 2023, consolidandosi come leader nel settore. Senza azioni concrete il nostro continente rischia di rimanere indietro e perdere una partita che minaccia di finire esclusivamente nelle mani di Stati Uniti e Cina. Come affermato anche dal commissario nella sua audizione presso il Parlamento europeo: “Questo è il momento di rendere l’Ue una potenza dell’innovazione. Il Biotech act ci aiuterà a creare una nuova industria sanitaria leader a livello mondiale”.
LE SFIDE DELLA RIFORMA FARMACEUTICA
Attesa da ormai vent’anni, la riforma della legislazione farmaceutica Ue promette di vedere avanzamenti significativi. La proposta punta ad assicurare una maggiore accessibilità dei medicinali, senza trascurare il sostegno all’innovazione. Durante la scorsa legislatura, il Parlamento europeo ha già adottato una posizione in prima lettura con ampio consenso, ponendo le basi per negoziati costruttivi una volta che il Consiglio – impegnato ormai da mesi nell’esame dei più di 400 articoli – avrà trovato una posizione comune. Nel frattempo, il commissario Várhelyi ha esortato i ministri della salute a “essere flessibili e disposti a trovare compromessi”. Nello specifico, la riforma prevede (tra le altre misure) una riduzione del periodo durante il quale le aziende concorrenti non possono accedere alle informazioni sulle molecole contenute nei farmaci brevettati, passando dagli attuali dieci anni a sette anni e mezzo. Proposta legislativa che, però, ha incontrato alcune resistenze da parte delle aziende, che, pur riconoscendo la necessità di aggiornare una normativa ormai datata, hanno espresso perplessità sulla tutela dell’innovazione. La stessa Farmindustria non ha accolto favorevolmente la posizione del Parlamento; secondo l’Associazione, l’Europa potrebbe trovarsi così in una situazione di svantaggio competitivo rispetto alle altre potenze globali.
CONTRASTO ALL’ANTIMICROBICO-RESISTENZA
Ulteriore dossier ora nelle mani del neo-commissario Várhelyi, il contrasto all’antimicrobico-resistenza (Amr) si intreccia strettamente con il sostegno alla ricerca atteso nel futuro Biotech act. L’Unione sta arrancando nel raggiungere gli obiettivi prefissati per la lotta all’Amr, un problema che assicura di minare la capacità di curare le infezioni e la sostenibilità dei nostri sistemi sanitari. Tra il 2019 e il 2023, il consumo di antibiotici nell’Ue è aumentato dell’1%, allontanandosi ulteriormente dalla riduzione del 20% entro il 2030, raccomandata dal Consiglio dell’Unione europea. A fine novembre, l’Ecdc ha lanciato l’allarme: senza un’azione rapida e coordinata, l’Amr comprometterà irreparabilmente la sanità pubblica. “Raggiungere gli obiettivi entro il 2030 richiede una risposta urgente e concertata per proteggere i pazienti e preservare l’efficacia degli antibiotici per le future generazioni”, ha dichiarato Pamela Rendi-Wagner, direttrice dell’Ecdc. Resta da capire quali mosse concrete saranno messe in campo per recuperare terreno.
LA SALUTE IN UN MONDO FRAGILE
Nel 2021, in risposta alla pandemia, gli Stati membri dell’Ue avevano stanziato 5,3 miliardi di euro attraverso il programma Eu4health, un’iniziativa ambiziosa volta a rafforzare i sistemi sanitari nonché la resilienza dell’Unione. Tuttavia, il taglio di un miliardo di euro al budget, deciso dal Consiglio europeo lo scorso anno – sollevando critiche da entrambi i rami del Parlamento – ha evidenziato tensioni su quanto spazio debba essere dato alla salute nelle priorità dell’Ue. I tempi sono cambiati. In un mondo sempre più scosso da equilibri geopolitici fragili e con un’Unione europea che ha sottolineato la volontà di rafforzare la propria autonomia strategica in ambito militare – considerate anche le richieste di maggiori investimenti in difesa da parte del presidente-eletto Donald Trump – saremo in grado di sostenere un’agenda sanitaria forte e conciliare la pur necessaria sicurezza militare con l’altrettanto strategica sicurezza sanitaria?