Con lei se ne va una protagonista del miglior Made in Italy e, in particolare, dell’industria italiana della moda degli ultimi 60 anni. Una storia tricolore formidabile. Il ricordo di Massimiliano Atelli
Con Rosita Missoni, vedova di Ottavio (detto Tai) Missoni, scomparsa a inizio 2025, se ne va una protagonista del miglior Made in Italy e, in particolare, dell’industria italiana della moda degli ultimi 60 anni. Una storia formidabile, la loro. Fatta di irripetibilità e di unicità. Irripetibile, anzitutto per le provenienze. Ottavio Missoni nasce italiano a Ragusa nel 1921, poi si trasferisce e cresce a Zara, ultimo lembo di Dalmazia rimasto integrato nel territorio del Regno d’Italia sino alla fine della Seconda guerra mondiale.
A Zara, assorbe e assimila atmosfere e colori di un confine detto orientale non per caso, e dopo l’incontro con la sedicenne Rosita – fortuito, narrano le cronache, mentre lui, formatosi nelle fila della società Ginnastica Zara, partecipa alla spedizione azzurra alle Olimpiadi del ’48, a Londra, dove si qualifica per la finale nei 400 ostacoli – trasfonde il vissuto di una parabola davvero rara (dalla prigionia dopo la cattura ad El Alamein sino alle serate milanesi con Gianni Brera, Mario Soldati, Sandra Mondaini, e il circuito del Bertoldo) in particolari capi di maglieria, che velocemente si impongono all’attenzione generale e iniziano a fare il giro del mondo.
Lui, e lei. Lei, Rosita, la cui famiglia possedeva già una fabbrica di scialli e tessuti ricamati in provincia di Varese, trova in Ottavio non solo il compagno di vita ma anche una prorompente e originale creatività che li spinge a unirsi nella produzione, vicino Varese. L’intuizione maggiore starà nell’impiego di una particolare macchina da cucire, ideata per la lavorazione degli scialli, anche per la creazione di vestiti, che ne segna il successo commerciale. Sono ormai gli anni ’70, e i Missoni vanno fortissimo. Firenze, Milano, gli orizzonti internazionali (dai modelli esposti al Metropolitan Museum of Art di New York, fino costumi per le rappresentazioni alla Scala). Anche il New York Times li incorona, definendo nel 1971 la maglieria Missoni la migliore del mondo.
Dopo l’irripetibilità, infatti, l’unicità. Dello stile. Dagli arazzi supercolorati, ai patchwork, al celebre «put together», cioè «mettere insieme» fantasie di punti e colori inedite, in un caleidoscopio di motivi e di toni. Superando, in una parola, lo stereotipo della maglieria monocolore del tempo, con combinazioni cromatiche nelle quali si intravede il riflesso, ci piace pensare, non solo del richiamo a opere di arte contemporanea, ma anche del crogiolo di culture ed estetiche di cui la Dalmazia italiana è stata nei secoli laboratorio (l’attaccamento di Ottavio a quelle radici è testimoniato anche dalla sua esperienza pluriennale di Sindaco del Libero comune di Zara in esilio). Nella crescita e nel successo inarrestabili, sempre lui e lei. Azienda comune ma studi separati, ai lati estremi dello stabilimento, con Ottavio che ogni tanto, è stato detto, entrava a curiosare in quello di lei.
Sempre autoironico, Ottavio, ormai novantenne, sopravvive solo pochi mesi, nel 2013, alla scomparsa del figlio Vittorio, inabissatosi nelle acque caraibiche di Los Roques, in un incidente. Resta Rosita, di 11 anni più giovane, che rimane in azienda fino ad età avanzata, coniugando questo impegno con quello nell’ampia famiglia formata dagli altri figli Angela e Luca, e dai nipoti. Rosita non interrompe, anche da vedova, la consuetudine delle vacanze estive nella Dalmazia di Ottavio, perché – come si è dichiarata anni fa al Corriere della sera – innamorata della costa meravigliosa, delle persone gentili e ospitali, delle case private nei paesi dei pescatori, dove ad agosto “c’erano sulle strade fichi maturi e dolcissimi”.
Il valore iconografico dello stile Missoni sopravvive ai fondatori, e serba, va detto, la capacità di contribuire raccontare una storia fra le storie. Quella, in particolare, delle grandi imprese (Mila Schon, Luxardo, Bracco, solo per citarne alcune) che affondano le loro radici nella Dalmazia e nell’Istria italiane e che hanno continuato e continuano, ancora oggi, muovendo dai confini attuali del nostro Paese ma affacciate sul palcoscenico del mondo, a incarnare espressioni importanti del Made in Italy.