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Cosa può fare l’Unione europea per Kyiv. Risponde Mauro

L’Europa, spiega il già ministro della Difesa Mario Mauro a Formiche.net, “rischia di essere un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Per ripensare questa postura occorre un passo avanti, ma significativo, delle classi dirigenti europee. Forse era questo il tema sotteso alla riunione di Parigi”. E attenzione alle elezioni tedesche del prossimo 23 febbraio…

Il de profundis per l’Ue si può ancora evitare e l’ex ministro della Difesa Mario Mauro spiega come a Formiche.net. Punto di partenza è il vertice di ieri sull’Ucraina convocato da Emmanuel Macron, ma senza i Paesi baltici, nelle stesse ore in cui prende avvio il tavolo diplomatico tra Rubio e Lavrov in Arabia Saudita. “L’elemento veramente drammatico è dato dal fatto che in molti pensano che tutto ciò si possa ragionevolmente fare facendo a meno degli ucraini. Questo è un argomento pericolosissimo e mi sembra che gli Stati Uniti non abbiano imparato granché né dall’Iraq né dall’Afghanistan”.

Perché al vertice di Parigi non c’è stata convergenza alcuna sull’Ucraina? E come si potrebbe avere un inviato comune europeo su Kyiv in mancanza di tale convergenza?

Il fatto che si siano visti misura, a vario livello e al rovescio le affermazioni di JD Vance a Monaco, nel senso che se in questo momento il grado di integrazione espresso dall’Unione europea fosse stato tale da poter prevedere un’intesa in grado di fornire soluzioni, non ci sarebbe stato bisogno di abbozzare una iniziativa approssimativa come quella di Parigi. Vuol dire che dal punto di vista dell’integrazione politica, i meccanismi dell’Unione europea sono ancora molto lontani dal poter fornire una operatività. E quando questa operatività si mostra, avviene in difetto di una logica democratica, cioè sono processi di cooptazione reciproca che sfuggono alle dinamiche dell’Europa comunitaria e si agganciano a quei meccanismi dell’Europa intergovernativa che, da un lato, è agognata dai governi dei Paesi membri, ma dall’altro rende negoziabile e perciò procrastinabile ogni tipo di argomento, anche quello esiziale e vitale, della difesa europea.

La guerra dunque non favorirà più unione in Ue?

Noi ci siamo illusi nella circostanza del Covid e al debutto della vicenda russo ucraina che l’Europa si trovasse in quei famosi periodi indicati da uomini come Monnet, cioè in quelle crisi che favoriscono il processo di integrazione. Lì abbiamo sottovalutato il fattore umano, cioè le crisi che in passato hanno portato a una maggiore integrazione hanno trovato i De Gasperi e gli Adenauer prima, ma soprattutto i Mitterand dopo, e anche gli Andreotti.

Quali errori sono stati commessi?

Stando all’ultimo trentennio, penso all’occasione storica persa dalla triade Berlusconi, Sarkozy, Merkel. Il principio che ha dominato è stato quello di tentare di massimizzare il risultato, piegando la visione strategica a quello che in gergo viene definito l’interesse nazionale. Anche qui faccio degli esempi molto pratici. Noi abbiamo perseguito in questo schema la dipendenza nel rapporto con gli Stati Uniti sulla difesa e la dipendenza nel rapporto con la Russia per le vicende energetiche, visione su cui ha particolarmente insistito la cancelliera tedesca, oltre alla dipendenza dal mercato dalle relazioni con la Cina, che è stata l’altra faccia della medaglia della strategia di Angela Merkel. Ma oggi, per ragioni squisitamente geopolitiche, nessuno di questi tre rapporti può più essere mantenuto in piedi perché si sono radicalmente modificati gli interessi strategici di questi attori.

Cosa rischia l’Europa?

Rischia di essere vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Per ripensare questa postura occorre un passo avanti, ma significativo, delle classi dirigenti europee. Forse era questo il tema sotteso alla riunione di Parigi. È la sensazione che accompagna la conclusione della riunione, che peraltro è stata veramente messa a fuoco forse da uno solo dei protagonisti, e cioè quello che non c’entra niente con l’Unione europea, il premier inglese Starmer. Ha detto che c’è una disponibilità da parte dell’Europa a fare dei passi avanti, ma non c’è alcuna definizione dei dettagli. Tale sintesi può essere preludio di un momento in cui si entri nel merito e si arrivi, per esempio, all’indicazione di un inviato europeo che dovrebbe travalicare i confini dell’Unione europea, dovendo necessariamente ricomprendere anche la posizione britannica.

E se non funzionasse?

Oppure può essere il preludio di quello che abbiamo già visto succedere con l’Afghanistan, cioè l’alleato statunitense che ha la pressione esercitata per il dopo Yalta da parte delle potenze arrembanti che vanno non solo dalla Cina all’Arabia Saudita, alle vecchie pretese russe, ma anche fino al ruolo di un attore speciale come quello che ospiterà la riunione tra Russia e americani cioè l’Arabia Saudita, accanto all’esigenza europea di difendere il proprio spazio vitale.

Qualcuno si è dimenticato di Kyiv in questo scenario?

L’elemento veramente drammatico è dato dal fatto che in molti pensano che tutto ciò si possa ragionevolmente fare facendo a meno degli ucraini. Questo è un argomento pericolosissimo e mi sembra che gli Stati Uniti non abbiano imparato granché né dall’Iraq né dall’Afghanistan. L’Ucraina è un Paese di 45 milioni di abitanti, probabilmente oggi 8 milioni di questi sono già in giro per l’Europa e sono i nostri rifugiati prioritari. Immaginare che questo modo di fare non sviluppi una forma di risentimento personale-collettivo nella coscienza di molte persone, sarebbe un tragico errore che potrebbe portarci conseguenze nefaste nella vita del continente. È proprio per questo che la riunione di ieri non dovrebbe fermarsi a Parigi, ma dovrebbe diventare in queste settimane un metodo per poter portare al tavolo delle trattative un soggetto unito.

Diversamente?

La posta in gioco non è semplicemente essere esclusi dalle trattative sull’Ucraina o essere ridimensionati nell’accompagnamento alla ricostruzione, ma potrebbe rappresentare una sorta di oggettivo de profundis per l’Ue.

Ue e Usa parlano ancora la stessa lingua?

Ho visto che l’interpretazione di molti è quella di cercare di non drammatizzare eccessivamente: noi abbiamo bisogno degli americani e gli americani anche ne sono consapevoli? Non dobbiamo solo guardare ai legami che ci uniscono, ma ragionare anche su un altro elemento: come sanno benissimo i membri dell’Unione europea che si sono affrettati a dare la propria solidarietà all’Ucraina, serve coinvolgerla nel processo di adesione all’Unione tirando le conseguenze, ovvero completando quel processo di adesione. Non è che non ci sarebbero conseguenze per gli altri Paesi dell’Unione europea, ma ovviamente l’atteggiamento di questi Paesi è di fare come Penelope, cioè sciogliere di sera quello che viene tessuto di giorno.

Ue e Ucraina insieme cosa determinerebbero?

I membri dell’Unione europea sarebbero obbligati a dare una risposta pronta e ultimativa sull’adesione all’Ue dell’Ucraina, con una tempistica a una realizzazione di questo progetto che ad oggi non esistono, se non solo sulla carta. Questo è un elemento non trascurabile perché i legami che si stabiliscono tra i Paesi membri dell’Unione sono molto più forti e vanno ben al di là dell’applicazione dell’articolo cinque della Nato. Porto un esempio pratico: se oggi la Turchia invadesse la metà di Cipro che non è sotto il suo controllo, i Paesi dell’Unione europea, e non della Nato, sarebbero obbligati a intervenire.

Oggi Le Figaro scrive che Meloni spera di affermarsi come mediatrice fra Washington e Bruxelles. Ci riuscirà?

In questo momento le mosse decise dall’amministrazione Trump non mi sembrano il frutto di un concorso con qualcuna delle leadership europee. Mi sembra che l’amministrazione americana stia andando avanti per la sua strada e rischia di complicare non poco gli elementi in gioco. Non perché ci sia stato questo approccio hard da parte di Vance alla Conferenza di Monaco, quanto piuttosto che ci sia stato questo esorbitare così significativo nei confronti delle elezioni tedesche. Il mio richiamo va esattamente a questo scenario dopo il 23 di febbraio: attenzione alla Germania. Perché se i numeri si dovessero mettere in un modo critico, i democristiani tedeschi per primi potrebbero portare sul tavolo delle relazioni internazionali elementi critici. Io credo che se c’è un mondo che guarda con attenzione e con speranza al ruolo che può esercitare Giorgia Meloni, sia proprio la Cdu tedesca. La Cdu non può permettersi di essere sopravanzato a destra da AfD, questo non lo accetteranno e sono convinto che potrebbero fare anche qualcosa di improprio.


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