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Difesa europea, sì. Ma come? Tutte le questioni irrisolte del summit dei 27

Mentre l’Europa si prepara al confronto con Trump su dazi e spese militari, i 27 si sono riuniti per dare seguito al vertice di Versailles del 2022. Tuttavia, come all’epoca, le divergenze rimangono numerose e, benché si concordi sui principi generali, non emerge una strategia chiara. Von der Leyen apre a una maggiore flessibilità sul Patto di stabilità, ma anche su questo la discussione prenderà altro tempo

Ancora una volta, la difesa europea rimane un tema di dibattito attivo, ma su cui si stenta a fare passi avanti concreti. Il ritiro informale dei leader dei 27 dedicato alla Difesa, che aveva l’obiettivo di stabilire una linea comune sul tema delle spese militari, del rafforzamento dell’industria e dei partenariati securitari strategici, si è sostanzialmente risolto con un nulla di fatto. Benché i capi di Stato e di governo abbiano riaffermato la necessità per l’Europa di fare di più sulla Difesa, i nodi rimangono i medesimi: finanziamenti, strategie di procurement e priorità strategiche. Merito del summit è stato, però, quello di fare il punto sulle posizioni e i punti di vista, anche se l’accordo rimane in sospeso. 

Gli accordi e i disaccordi dei 27

Se il consenso sull’importanza di rafforzare la Difesa può considerarsi unanime, le posizioni su questioni dirimenti, quali il come e il quando, non potrebbero essere più diverse. Se i Paesi baltici, storicamente ricompresi nella categoria dei frugali, si dicono a favore di strumenti di debito comune per finanziare acquisti e investimenti, la Germania di Olaf Scholz, a poche settimane dall’appuntamento elettorale, fa marcia indietro: niente eurobond per la Difesa europea. Senza Berlino a farsi garante per l’emissione di debito comune europeo, non resta che mettere mano ai portafogli nazionali e alle regole europee sul deficit, su cui Ursula von der Leyen si è detta “disposta ad esplorare la piena flessibilità prevista dal Patto di stabilità”.

Parallelamente, Emmanuel Macron sposa la linea polacca e annuncia il raddoppio delle spese militari francesi, trovandosi però in disaccordo con Donald Tusk, il quale sostiene che il “buy European” di Parigi richiederebbe troppo tempo per produrre un risultato apprezzabile in termini di consegne di equipaggiamento e che quindi sarà necessario puntare sulle forniture statunitensi. 

Il convitato di pietra 

Il summit avrebbe dovuto avere come focus esclusivi l’Europa e la Difesa, ma era inevitabile che le dichiarazioni di Donald Trump sull’intenzione di imporre dazi all’Unione europea (nonché sulla questione groenlandese) facessero il loro ingresso sul tavolo delle discussioni a Egmont Palace. La Danimarca riceve la solidarietà formale dei leader, ma il momento è evidentemente troppo delicato perché da Bruxelles si alzi la levata di scudi contro Washington e a difesa della Groenlandia. Si opta dunque per mantenere una linea diplomatica e ribadire il principio dell’inviolabilità dei confini, mentre l’invito a Mark Rutte e Keir Starmer per presenziare al ritiro sottolinea l’intenzione di mantenere un Occidente quanto più compatto possibile sui temi della sicurezza e della difesa. Anche per questo si ribadisce ulteriormente il supporto all’indipendenza dell’Ucraina, senza contestare ma senza neanche supportare apertamente la dichiarata intenzione di Trump di sedersi al tavolo delle trattative con Vladimir Putin.

Quindi, che succede?

Il ritiro informale sulla Difesa pare non aver raggiunto il suo obiettivo di rappresentare un punto di svolta per l’Unione europea. Troppe le divergenze in un sistema che può disporre di grande potenza di fuoco solo quando i suoi componenti raggiungono l’unanimità. Senza questo tipo di consenso da parte degli Stati, agli esponenti delle istituzioni comunitarie, da soli ad affrontare la conferenza stampa, non rimane che ribadire la necessità di fare di più, salvo poi rimandare per i dettagli alla prossima volta e al prossimo documento strategico. Tuttavia, mentre l’Europa si conferma nel suo attendismo — lo stesso contro cui mette in guardia il Rapporto Draghi —, il mondo continua ad andare veloce, e le minacce alla sicurezza continuano a crescere. 


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