Skip to main content

Gaza e Iran, la doppia mossa geopolitica di Trump

Mentre annuncia il piano per Gaza, apre al dialogo sul nucleare con l’Iran e sanziona le petroliere di Teheran che esportano in Cina. Trump in pochi giorni dimostra come tutto ha un prezzo nella sua visione transazionale della politica internazionale

Nella stessa giornata in cui Donald Trump ha annunciato il suo controverso piano per Gaza, ha anche pubblicamente aperto a un possibile accordo sul nucleare iraniano. Contemporaneamente, oggi il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato una rete di traffico petrolifero che ha generato centinaia di milioni di dollari a beneficio delle forze militari iraniane e milizie collegate (come Hamas, Houthi e Hezbollah) esportando clandestinamente in Cina. La misura fa parte delle iniziative per limitare i finanziamenti a programmi destabilizzanti di Teheran, puntando a interrompere le operazioni delle entità coinvolte. Sono mosse apparentemente contraddittorie, ma che riflettono un approccio transazionale alla politica estera, dove ogni dossier diventa parte di una strategia più ampia per ottenere vantaggi su diversi fronti.

Il piano per Gaza: Israele rafforzata e le reazioni arabe

Trump ha presentato il suo piano per Gaza, promettendo di trasformare la Striscia in una “Riviera del Medio Oriente” attraverso il trasferimento di gran parte della popolazione palestinese in luoghi dove saranno più “sicuri e liberi” – come ha detto oggi, obliterando alcuni tentativi di normalizzazione della sua proposta cercati dalla Casa Bianca e dal dipartimento di Stato. Questa proposta – che manca di basi legali e tecniche (per esempio: dove andranno i palestinesi di Gaza, in Paesi vicini come Egitto e Giordania? Il Cairo e Amman ha già detto che non intendono essere complici di certi piani) – ha comunque ricevuto un’accoglienza entusiasta da parte di Benjamin Netanyahu.

Il primo ministro israeliano, che era a Washington quando Trump ha lanciato il suo piano, l’ha definita una soluzione “geniale” per un problema irrisolto da decenni. Al di là del “se” anche Netanyahu la ritenga credibile e fattibile, per il premier dello Stato ebraico la mossa trumpiana rappresenta un successo politico.

Tuttavia, la reazione nel mondo arabo è stata diametralmente opposta. Oltre all’Egitto e la Giordania che hanno espresso forte contrarietà anche pensando al rischio di effetti diretti, temendo dunque conseguenze destabilizzanti sul piano politico, economico e soprattutto sociale, anche l’Arabia Saudita ha espresso le sue perplessità. Erano le quattro di notte a Riad quando l’altro ieri Trump ha lanciato il piano e il regno ha sentito la necessità di inviare alla Reuters una precisazione che senza la soluzione a due stati, non avrebbe valutato la possibilità di normalizzare la relazione con Israele – grande obiettivo strategico americano nella regione. L’ipotesi di un esodo di massa di palestinesi è stata condannata anche da altre parti della Comunità internazionale, con accuse di violazione del diritto internazionale e di espropriazione forzata.

L’apertura all’accordo sul nucleare iraniano

Quasi contemporaneamente, Trump ha pubblicato un post sul suo social network Truth Social in cui ha negato le voci di una possibile operazione militare congiunta tra Stati Uniti e Israele contro l’Iran. Al contrario, ha proposto un “accordo di pace nucleare verificato” e ha sottolineato l’importanza di iniziare subito i negoziati per raggiungere un’intesa che permetta all’Iran di prosperare pacificamente.

Questa dichiarazione, se da un lato ha rassicurato i Paesi che temono un’escalation militare, dall’altro ha rappresentato un colpo per Israele, che sperava in una linea più dura contro Teheran. Tuttavia, l’amministrazione Trump ha contemporaneamente reintrodotto misure di “massima pressione” economica, con l’obiettivo di ridurre a zero le esportazioni di petrolio iraniano, in particolare verso la Cina.

Una politica estera bilanciata tra pressioni e concessioni

L’insieme di queste mosse evidenzia come Trump cerchi di bilanciare pressioni e concessioni per ottenere risultati su diversi tavoli. Il piano per Gaza, sebbene accolto con entusiasmo da Israele, ha alienato gran parte dei Paesi arabi, che temono ripercussioni interne (e vedono un’eccessiva esposizione pro-israeliane degli Usa). Allo stesso tempo, l’apertura diplomatica verso l’Iran potrebbe favorire una stabilità regionale, particolarmente apprezzata da Stati come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, che hanno recentemente promosso una politica di distensione nei confronti di Teheran – e allo stesso tempo indebolisce Netanyahu, che ha sempre contato sul supporto americano per pressare la Repubblica islamica, ancora di più adesso con Trump.

L’approccio transazionale del nuovo presidente punta a massimizzare i benefici per gli Stati Uniti attraverso negoziati diretti e pressioni mirate. In questo contesto, l’Iran diventa non solo un nemico da contenere, ma anche un possibile partner negoziale per un equilibrio di lungo termine.

Le azioni simultanee di Trump su Gaza e sull’Iran dimostrano la complessità della sua strategia geopolitica. Da un lato, rafforza le posizioni di Israele con una proposta che ridefinisce gli equilibri nella Striscia di Gaza; dall’altro, apre la porta a un dialogo con l’Iran, cercando di evitare un’escalation militare che destabilizzerebbe ulteriormente la regione e facendo pagare a Israele un prezzo. Resta da vedere se questo approccio riuscirà a produrre risultati tangibili o se le tensioni interne e le pressioni esterne ne limiteranno l’efficacia. Il rischio è un nuovo innesco di tensioni, spinta ai nemici degli Usa.


×

Iscriviti alla newsletter