L’ex presidente della Bce, in audizione all’Europarlamento, torna a mettere l’Ue davanti alle proprie responsabilità e ritardi. Su energia, tecnologia e difesa il Vecchio continente ha perso troppo tempo. E ora deve recuperare terreno, prima che sia troppo tardi
Il messaggio non è di quelli nuovi, le parole semmai lo sono. Mario Draghi, a tre giorni dal suo intervento a firma sul Financial Times in cui strigliava l’Europa, rea di troppi piagnistei sui dazi e poca umiltà nel guardarsi dentro, è tornato a sferzare il Vecchio continente. Stavolta l’occasione è un discorso dinnanzi all’eurocamera, in occasione della settimana parlamentare 2025. Il canovaccio è sempre lo stesso, o l’Europa si dà una svegliata o qualcuno lo farà per lei. E saranno dolori.
LA CORSA ALLA TECNOLOGIA
Primo problema, il ritardo nella corsa alla tecnologia e i troppi tentennamenti nel campo dell’Intelligenza Artificiale, mentre Stati Uniti e Cina corrono. “Negli ultimi mesi sono aumentate ulteriormente le sfide per l’Ue ed è ancora maggiore l’urgenza di trovare una risposta adeguata e unitaria a queste sfide, in particolare l’innovazione tecnologica in cui l’Europa è rimasta indietro, i prezzi del gas due o tre volte maggiori che nelle altre grandi economie, e la nuova situazione in Usa con i dazi minacciati dall’amministrazione Trump, che si aggiunge al già difficile confronto geopolitico con la Cina”, ha premesso l’ex presidente della Bce.
Draghi ha parlato apertamente di “cambiamenti che hanno avuto luogo sono ampiamente in linea con le tendenze che vi erano state delineate. Ma il senso di urgenza per intraprendere il cambiamento radicale che il rapporto sosteneva è diventato ancora più forte”. Il riferimento esplicito è al suo lavoro di oltre 400 pagine presentato alla Commissione europea lo scorso autunno. “Innanzitutto, il ritmo dei progressi nell’Intelligenza Artificiale ha accelerato rapidamente. Abbiamo visto modelli di frontiera raggiungere quasi il 90% di accuratezza nei test di riferimento per il ragionamento scientifico, superando i punteggi degli esperti umani. Abbiamo anche visto modelli diventare molto più efficienti, con costi di formazione in calo di un fattore dieci e costi di inferenza (la capacità dell’IA di apprendere di fronte a situazioni nuove, ndr) di un fattore di oltre venti”.
Ebbene, “er ora, la maggior parte dei progressi sta ancora avvenendo al di fuori dell’Europa. Otto degli attuali primi dieci grandi modelli linguistici sono stati sviluppati negli Stati Uniti, mentre gli altri due provengono dalla Cina. Ogni giorno che ritardiamo, la frontiera tecnologica si allontana da noi, ma il calo dei costi è anche un’opportunità per noi di recuperare più velocemente”.
LA QUESTIONE ENERGETICA
La seconda nota di demerito ha riguardato l’energia. “I prezzi del gas naturale rimangono altamente volatili, in aumento di circa il 40% da settembre, e i margini sulle importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono aumentati in modo significativo dall’anno scorso. Anche i prezzi dell’energia sono generalmente aumentati in tutti i Paesi e sono ancora 2-3 volte più alti di quelli degli Stati Uniti. E abbiamo visto il tipo di tensioni interne che potrebbero sorgere se non agiamo con urgenza per affrontare le sfide create dalla transizione energetica”, ha chiarito Draghi.
IL FATTORE TRUMP
Nei ragionamenti dell’ex premier non potevano poi mancare i dazi, che la Casa Bianca potrebbe inasprire sulle merci europee in ingresso negli Stati Uniti. E anche qui il messaggio di fondo è agire prima che sia troppo tardi. “Quando è stato scritto il rapporto, il tema geopolitico principale era l’ascesa della Cina. Ora, l’Ue dovrà affrontare i dazi della nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi, ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione. Inoltre, i dazi statunitensi più elevati sulla Cina reindirizzeranno la sovracapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee. In effetti, le grandi aziende dell’Ue sono più preoccupate per questo effetto che per la perdita di accesso al mercato statunitense. Potremmo dover anche affrontare politiche ideate per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione”.
COESIONE CERCASI
Ma niente di tutto questo potrà essere fatto senza un’Europa davvero coesa. “Per far fronte a queste sfide è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”. Inoltre, “questa risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere commisurata alla portata delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno un’ulteriore crescita. Velocità, scala e intensità saranno essenziali”.
E dunque, “dobbiamo creare le condizioni affinché le aziende innovative crescano in Europa anziché rimanere piccole o trasferirsi negli Stati Uniti. Ciò significa abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sul capitale azionario”.
IL BISOGNO DI UNA DIFESA COMUNE
Infine, il tema di una Difesa europea, ancora troppo sulla carta. Il rapporto Draghi, afferma il suo autore, “affronta diverse vulnerabilità dell’Europa, una delle quali è il nostro sistema di difesa, dove la frammentazione della capacità industriale lungo linee nazionali impedisce la scala necessaria.
Anche se siamo collettivamente al terzo posto al mondo per la spesa per la difesa, non saremmo in grado di aumentarla attraverso la nostra capacità produttiva. I nostri sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di fornitura. Questo -è uno dei tanti esempi in cui l’Ue è inferiore alla somma delle parti”.