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Ecco perché la riforma dell’export militare resta necessaria. Parla Festucci

difesa

La riforma della legge 185/90 sulle esportazioni della Difesa non riduce il controllo governativo, ma lo rafforza, passando la responsabilità decisionale da un singolo funzionario a un comitato interministeriale guidato dal premier. A sostenerlo è Carlo Festucci, segretario generale di Aiad, che analizza le critiche e ribadisce la necessità di garantire efficienza e competitività a un settore chiave per l’economia italiana

Sulle esportazioni della difesa, il fatto che a scegliere sia il governo è un fatto di democrazia industriale, e la riforma della legge 185/90 andava esattamente in questa direzione. Considerarlo, invece, una diminuzione del controllo governativo sul tema è un fatto di pura demagogia. È netto nella sua analisi Carlo Festucci, segretario generale della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), sulla decisione della maggioranza di rimandare l’approvazione alle modifiche della legge approvate dal Consiglio dei ministri che prevedevano, tra le altre cose, che il rilascio delle autorizzazioni non sia più in capo all’ufficio dell’Uama (alla Farnesina) ma al Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento e per la difesa, il cosiddetto Cisd, presieduto dal presidente del Consiglio e costituito dai ministri dei vari dicasteri interessati. Un organo che verrebbe riattivato dopo essere stato soppresso nel lontano 1993.

“L’obiettivo della modifica legislativa non è di abbassare il livello di controllo, ma anzi di alzarlo” spiega Festucci, “perché si passa da una funzione oggi in capo al singolo ministro plenipotenziario a capo dell’Uama a un comitato di ministri. Non si capisce come questa cosa possa essere vista come un fatto negativo”. Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.

Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil. “Tutte le esportazioni sono decise dal governo” sottolinea ancora il segretario generale di Aiad, aggiungendo come a suo giudizio dovrebbero esere proprio tutte quelle realtà che invocano maggiore controllo a chiedere una modifica della 185. “Solo se si lavora all’interno del quadro normativo della legge si lavora per nome e per conto dello Stato. Se lo fai fuori sei un delinquente”.

Le rimostranze, dunque, da cosa deriverebbero? “Vogliamo dire di non produrre più armi? E le nostre Forze armate dove si rifornirebbero? All’estero. Comprare dagli altri allora va bene, mentre produrre noi no, lavandoci la coscienza facendo finta che gli altri Paesi non si stiano armando”, risponde ancora Festucci. “E una sciocchezza, e il governo dovrebbe spiegare bene queste cose, al netto del fatto che sono convinto si riuscirà a portare a casa questa modifica, che rimane una scelta di buon senso”. La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.

“In un contesto dove purtroppo, e sottolineo purtroppo, il mercato della Difesa è destinato a crescere, se l’indirizzo continua ad essere quello attuale il risultato sarà che ad avvantaggiarsene saranno principalmente le realtà straniere che investiranno nel settore”. Per questo Festucci ringrazia, invece, il presidente della commissione Difesa del Senato, Stefania Craxi, e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, “per essersi fatti carico di una esigenza di politica industriale nazionale”.


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