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Escludere l’Ue dai negoziati sull’Ucraina indebolisce l’Occidente. Parla Onori (Azione)

Anche gli italiani sono sempre più consapevoli di quanto la difesa e la sicurezza siano comparti importanti  per il nostro Paese. Non è detto che l’Europa e gli Stati Uniti, in questo momento storico, condividano gli stessi obiettivi, per esempio sull’Ucraina, e concordino su una stessa idea di pace giusta e duratura. L’esclusione dell’Ue potrebbe finire per indebolire gli sforzi di pace e la posizione dell’Occidente. Colloquio con Federica Onori, deputata di Azione e componente della Commissione Esteri alla Camera

“L’esclusione dell’Europa dai tavoli negoziali per il cessate il fuoco in Ucraina potrebbe finire per indebolire gli sforzi di pace e la posizione globale dell’Occidente”. Federica Onori, deputata di Azione e componente della commissione Esteri alla Camera, guarda alle dinamiche internazionali di ritorno dalla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, parla con Formiche.net non solo della dimensione europea ma anche del rapporto con gli Stati Uniti e il ruolo dell’Italia nella compagine geopolitica globale.

Onorevole Onori, di ritorno dalla conferenza sulla sicurezza di Monaco. Come legge dal suo punto di vista le parole del vicepresidente Vance?

Il discorso di Vance, ad un primo ascolto, sembrava un copia incolla dei tanti comizi che il vice presidente ha tenuto solo fino a poche settimane fa per la campagna presidenziale. Un intervento certamente provocatorio, ma che suonava anche un po’ fuori contesto e quasi inadeguato alla platea che aveva davanti. E tutto ciò induce a riflettere sullo stesso concetto di like-minded countries, tante volte evocato negli ultimi anni: un concetto probabilmente superato, in quanto avere la stessa “testa” non necessariamente implica avere gli stessi obiettivi o avere condotte compatibili. Non è detto che l’Europa e gli Stati Uniti, in questo preciso momento storico, condividano gli stessi obiettivi, per esempio, sull’Ucraina e concordino su una stessa idea di pace giusta e duratura.

A fronte di una così dura presa di posizione statunitense, il presidente Macron ha organizzato a Parigi un summit per studiare un coinvolgimento dellEuropa nellaffaire Ucraina. Che esito prevede?

Se in passato era principalmente Mosca a puntare sulla divisione dell’Unione europea, oggi persino l’amministrazione Trump potrebbe sperare in un’Europa meno unita e quindi meno efficace nella sua azione esterna. Per questo, più che mai, è necessario lavorare affinché gli Stati europei non solo siano coesi, ma lo appaiano anche dall’esterno. Mi auguro che l’iniziativa di Macron riesca a riaffermare questa idea di unità. Ma di certo il format ristretto dell’incontro potrebbe non lavorare in questa direzione: l’esclusione di alcuni Paesi rischia appunto di sottolineare le divisioni interne, per esempio quelle con l’Ungheria. E se da un lato è vero che gli invitati al summit hanno dimensione (almeno militare) simile, dall’altro discutere a 27 avrebbe dato un’immagine più coesa.

Come si spiega questa esclusione, per lo meno momentanea, dellEuropa dai negoziati di pace da parte degli Usa? 

Credo che l’esclusione dell’Europa dai negoziati di pace sia solo un tentativo di mantenere un ruolo predominante nel processo decisionale, in particolare in un contesto dove gli interessi globali sono in gioco. Immagino che Trump ritenga che la sua influenza diretta possa favorire un esito più rapido, ciò che forse non considera è il costo che questo potrebbe avere. L’esclusione dell’Europa potrebbe finire per indebolire gli sforzi di pace e la posizione globale dell’Occidente. Non fosse altro per il fatto che l’implementazione di garanzie di sicurezza necessiterà certamente e necessariamente del pieno coinvolgimento dell’Europa.

Lei segue il conflitto in Ucraina con grande attenzione. Ieri la folla che omaggiava Navalny restituiva lidea di una speranza ancora viva. A che punto è la guerra?

Ogni giorno e ogni notte droni e missili russi bombardano sia le zone del fronte che quelle urbane. E non possiamo non farci una domanda: è questo l’atteggiamento di chi cerca la pace? Sembra che l’obiettivo di Putin sia una cessazione delle ostilità che stanno dilapidando le risorse russe, più che una pace duratura, che implica anche la risoluzione delle cause profonde del conflitto. Lo stesso schema lo abbiamo visto in Georgia, dove Putin ha agito nello stesso modo.

Torniamo a Monaco. Non le sembra che, al di là delle dichiarazioni statunitensi, siano emerse delle reali necessità – specie in termini di sicurezza- sulla quali lEuropa deve cambiare passo? 

La sicurezza deve rimanere una priorità per noi. E credo che anche i cittadini italiani stiano diventando sempre più consapevoli di quanto la difesa e la sicurezza siano comparti sempre più importanti  per il nostro Paese. È quello che fotografa, ad esempio, anche un recente sondaggio di YouTrend commissionato da Linkiesta: tre italiani su quattro ritengono prioritari maggiori investimenti in sicurezza. E di fronte a modelli di isolazionismo crescente, è positivo notare come sia ancora vivo il desiderio di costruire delle architetture di sicurezza su basi europee. Concretamente, spero che questo porti ad un approfondimento delle relazioni europee in ambito di sicurezza e politica estera, magari con la creazione di un esercito europeo.

Quale ritiene debba essere il ruolo italiano in questo contesto? 

Ho avuto l’opportunità di seguire gli interventi come parte del programma Munich Young Leaders ed è stata una sorpresa ed una grande delusione vedere la totale assenza dell’Italia nei panel della conferenza. Nei tre anni in cui c’è stato il governo Meloni, questa è la prima volta che nessun rappresentante del nostro Paese risulta tra i panelist della conferenza. Se Meloni nutre l’ambizione di essere un ponte, non possiamo non far sentire la nostra voce anche in forum importanti come questo. L’assenza dell’Italia è stato un segnale inquietante.

Sul fronte mediorientale, Rubio conferma lasse Usa-Israele. Lo stato della tregua sembra fragile: che sviluppi prevede?

Il consolidamento dell’asse Usa-Israele confermato da Rubio aggiunge a mio parere un ulteriore livello di fragilità alla situazione nel Medio Oriente. Le osservazioni di Maya Yahya del Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center su Foreign Affairs sottolineano che la vera sfida per la ricostruzione della regione non è tanto la mancanza di risorse, quanto le divisioni politiche che continuano a dominare il panorama. I piani attuali per la ricostruzione, purtroppo, sembrano ripetere gli errori del passato, cercando soluzioni senza affrontare le radici politiche dei conflitti. Un’alleanza così sbilanciata come quella tra Usa e Israele non fa che acutizzare le divisioni, rendendo ancora più difficile una risoluzione pacifica, rischiando di alimentare le tensioni e la violenza ciclica.


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