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Ecco la vera filosofia del fondo sovrano di Trump. La versione di Sapelli

Il nuovo veicolo americano, annunciato pochi giorni fa dal presidente degli Stati Uniti, è il segno dei tempi e verrà alimentato da quel comparto tecnologico, i cui progressi lo stesso fondo sarà poi chiamato a difendere. I dazi? Sono molto meno peggio di quanto si creda. Conversazione con l’economista e storico Giulio Sapelli

L’ultima carta di Donald Trump si chiama fondo sovrano. Sotto forma di mandato ai dipartimenti del Tesoro e del Commercio per dare vita a un veicolo che potrebbe arrivare ad acquistare persino Tik-Tok. Una mossa che mette gli Stati Uniti in scia alla Norvegia e all’Arabia Saudita, campioni in questo campo, come investitori di lungo termine.

L’operazione, da qualunque parte la si voglia vedere, non è però priva di complessità dal momento che i fondi sovrani sono investitori dotati di capitali originati dallo sfruttamento delle risorse naturali e impegnati nel finanziare grandi progetti infrastrutturali, oltre che puntare ai tradizionali investimenti di portafoglio azionari e obbligazionari. Ma certamente proietta gli Usa verso una nuova dimensione, creando i presupposti per un nuovo modello di investimento. Formiche.net ne ha parlato con l’economista e storico Giulio Sapelli.

UN FONDO PER LA SUPREMAZIA TECNOLOGICA (E MILITARE)

“La politica economica di Trump è figlia dei grandi cambiamenti del sistema capitalistico di questi anni, ora proiettato verso un neo imperialismo, fatto di grandi investimenti e grandi acquisizioni”, premette Sapelli. “Oggi assistiamo a un proliferare di conflitti inter-imperialistici, come quello tra Russia e Ucraina, tanto per fare un esempio. Questo per dire che siamo entrati in una nuova fase di guerra economica, dal risvolto imperialista. Il fondo sovrano proposto dagli Stati Uniti si appoggerà verosimilmente, più che sulle risorse naturali, come per la Norvegia e l’Arabia, sulla tecnologia, valorizzando i progressi compiuti dall’America nel campo delle tecnologie di ultima generazioni”.

Dunque, spiega Sapelli, “l’obiettivo finale potrebbe essere quello di aumentare il dominio militare e tecnologico degli Stati Uniti, lavorando sul versante del capitalismo utilizzato per fronteggiare i conflitti. A Trump interessa essere pronto a nuovi, eventuali scenari bellici. Questa mi pare la filosofia di fondo dell’operazione”.

Quanto alla possibilità che il veicolo statunitense possa fungere da modello per altri Paesi dell’Occidente, Sapelli fa una precisazione, chiamando anche in causa l’Italia, che lo scorso anno si è dotata di un proprio veicolo, gestito da Cassa depositi e prestiti e dalla dotazione di un miliardo, improntato alla valorizzazione del made in Italy. “Difficile fare un paragone, l’operazione italiana è di gran lunga inferiore in termini di gittata rispetto a quello americano. Il nostro Paese viva una fase di decadenza, non può certo essere un fondo sovrano a ribaltare le sorti dell’economia”.

I DAZI NON SONO IL MALE ASSOLUTO

Il discorso vira poi sulla questione dei dazi, che hanno cominciato a piovere, al netto di more e proroghe, su Messico, Canada e Cina. “Direi niente di nuovo sotto il sole, la situazione non è molto diversa da quella che si stava annunciando già da un decennio. Anche con l’amministrazione Biden si faceva dumping sociale finanziando l’industria nazionale e locale. Gli Stati Uniti hanno sempre esportato molto poco, credo ci sia una certa preoccupazione in America per una crescente de-industrializzazione nazionale, i dazi sono la risposta a questo problema, oltre che ad andare nella logica e nel solco di quel capitalismo formato conflitto e tecnologia di cui abbiamo parlato poc’anzi”, spiega Sapelli.

“Ci sarà sicuramente l’aumento della pressione su molti Paesi e per questo è verosimile che si possano aprire dei negoziati tra Casa Bianca e singoli Paesi più che con l’Unione europea. Però non dimentichiamoci che quello che fa veramente male all’economia sono le interruzioni fisiche come la pandemia e la guerra. I dazi nel lungo periodo non danneggiano fortemente l’economia, anzi alle imprese, che oggi hanno una certa capacità di resilienza tecnologica, un po’ di movimento fa bene perché stimolano l’innovazione”.


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